La notte che ho visto le stelle

18:54 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (3)

Ceriale, triduo di Quaresima degli esercizi studenti della Liguria, 1981. Li tiene don Negri (allora non ancora Monsignore) che alla prima lezione stupisce tutti impostandola sulla lettura di alcuni testi di canzoni di Bob Dylan. Sono quelle tratte dal suo disco a maggior contenuto cristiano, uscito alcuni mesi prima, intitolato Saved, "salvato". Be', pensiamo, è proprio bello essere qui. Al pomeriggio una testimonianza. E' quella di Maurizio Rizzi, da poco divenuto segretario di GS di Chiavari, e che per far ciò ha lasciato una promettente carriera di ingegnere. Sposato, con due figli, ci racconta come è bello e sensato obbedire a quello che la vita ti chiede - anche se per il "mondo una scelta così sembra pura pazzia - quando sei consapevole che questa obbedienza conduce allo svelarsi del tuo destino. Non so quanti di noi ragazzi allora avessero capite quelle sue parole, so che per anni Maurizio ci fu compagno, amico, padre con tutta l'irruenza, il suo essere a volte burbero, ma soprattutto con affetto incondizionato verso il nostro lento diventare adulti. Per qualcuno fu padrino di cresima, per altri testimone di nozze, per altri ancora padrino addirittura di battesimo. Quando si dice la paternità. Chiavari, fine luglio 2008. Al mattino abbiamo salutato Maurizio che ci ha lasciati chamato alla casa del Padre, chiamato nel modo esatto in cui aveva vissuto la sua vita: mentre stava dando la sua vita per l'opera di un Altro. E allora si chiariscono quelle parole che ci diceva quel pomeriggio di quasi 30 anni prima a Ceriale. C'è qualcosa di più bello che dare la propria vita per l'opera di un Altro? Alla sera, nonostante il dolore, un popolo intero si raduna silenziosamente per ascoltare le canzoni di Claudio Chieffo, cantate da suo figlio Benedetto. Misteriosamente si svela la trama di quel destino buono che ci guida, anche nei momenti di buio apparente. Anche Claudio è ormai nella casa del Padre. Forse Maurizio stasera ha preferito le canzoni di Chieffo farsele cantare direttamente dal suo autore, lassù in Paradiso dove entrambi adesso si trovano. Ma certo per noi, per i suoi amici, per la sua famiglia, queste canzoni ce li fanno sentire ancora presenti qua tra di noi. Ancora più di prima, se possibile. E' quello che accade quando diciamo "sì" al volto del Mistero. Mentre sto tornando a Milano, nella notte piena di stelle, sull'autostrada deserta, mi viene improvvisamente in mente il regalo che Maurizio mi aveva fatto per la cresima di cui mi era stato padrino. Era un disco di Claudio Chieffo. Sorrido, e il cuore si fa pieno di certezza mentre mi viene in mente una delle canzoni sentite poco prima: "Vorrei tornare bambino e guardare ancora il fuoco, la Storia più grande è il Destino che si svela a poco a poco. La notte che ho visto le stelle non volevo più dormire, volevo salire là in alto per vedere e per capire...".

Benedetto canta Chieffo

12:30 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

L' "Associazione Amici di Simone Tanturli Onlus" PRESENTA SABATO 26 LUGLIO 2008 CHIAVARI SCUOLA MARIA LUIGIA "E' BELLA LA STRADA" con Benedetto Chieffo & Friends SERATA CONCERTO delle CANZONI di CLAUDIO CHIEFFO "Se una canzone non è una porta aperta al Mistero, allora è solo rumore" - William Congdon - Dalle ore 19 stand gastronomici Invitate gli amici!

Lettere sul dolore

21:23 / Pubblicato da Alessandro / commenti (0)

Anche la sofferenza può trasformarsi in gioia

..."Che cosa importa se il sonno della nostra bambina si prolunga? L'universo dove dobbiamo vivere è presenza di Dio, dove tutte le delusioni del tempo possono trovare immediatamente il loro posto, tutte le sofferenze trasformarsi in gioia. Non ci resta che diventare cristiani a tempo perduto... Sentivo che mi avvicinavo a quel piccolo letto come ad un altare, ad un luogo sacro da dove Dio parlava mediante un segno. E tutto intorno alla bambina, non ho altre parole: un'adorazione. Bisogna osare di dir­lo: una grazia troppo pesante. Un'ostia vivente in mezzo a noi. Muta come un'os­tia. Splendente come un'ostia... ".

da Lettere sul dolore di Emanuele Mounier*

Le spine di Eluana

12:43 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

Tratto da questo blog: http://vinoemirra.splinder.com Si fa presto. “Staccate la spina”. In gergo l’espressione si riferisce alla interruzione della ventilazione meccanica relativa ad un paziente in rianimazione. Si può, legalmente, staccare la spina? Sì, se si è accertata la morte cerebrale (con la cessazione di tutte le funzioni dell’encefalo) e il paziente, ad esempio, non è potenziale donatore di organi. Ma Eluana Englaro respira da sola, autonomamente, adeguatamente, “senza ingombro tracheobronchiale”, come si legge nella sentenza dei giudici di corte di appello di Milano (pag 15). Si fa presto. “Stop alle macchine”. Neanche fossero le rotative di un quotidiano. Un macinino grande come il telefono di casa provvede a regolare l’idratazione e l’alimentazione. Nessuna necessità che agisca in modo continuativo. C’è chi usa il biberon. Il sondino nasogastrico è certo fastidioso a lungo andare. Un sondino per PEG sarebbe altrettanto efficace e meglio tollerato. Non sono le macchine a prendersi cura di Eluana, sono le persone che vivono con lei. La mamma di Chiara (guarda il video sopra) afferma: siamo noi il sondino di Chiara. Si fa presto. “E’ in coma”. Così. Senza spiegare che differenza c’è tra il coma della morte cerebrale e il coma “vigile” dello stato vegetativo. Eluana è per lunghi tratti sveglia ma sempre senza consapevolezza, occhi “per lo più” aperti che guardano e non vedono, movimenti spontanei ma senza scopo, riflessi di deglutizione, smorfie del viso, sbadigli.. Non dà alcun segno di attività psichica e di partecipazione all’ambiente, né risposta comportamentale volontaria agli stimoli sensoriali esterni (visivi, uditivi, tattili, dolorifici). Però per farle la risonanza magnetica hanno dovuto sedarla: troppi movimenti involontari disturbavano la qualità della diagnostica. Il suo Encefalogramma non è piatto, è patologico, tipo “alfa coma”. Non è morta, è malata. Inguaribile. Curabile. Si fa presto. “Coma irreversibile”. Lo stato vegetativo viene definito persistente se protratto nel tempo e permanente quando si presume che sia irreversibile. La letteratura pone un limite per la definizione di irreversibilità dopo evento traumatico: dodici mesi. Non mancano casi di risveglio, anche dopo molti anni. Eccezioni, certo. Per Eluana sono passati 16 anni. Dicono che non tornerà più. I medici escludono “la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno”. E’ verosimile. E allora? Molte sono le malattie irreversibili. L’Alzheimer è malattia irreversibile. Non meno penosa. Smetteremo di prenderci cura delle persone con malattie irreversibili? Uno stato che non difende i suoi cittadini più deboli non ha ragione di esistere. Si fa presto. “Alimentazione forzata artificiale”. Mio figlio sarebbe morto senza la mamma che lo nutriva “ a forza”. Ora si ingozza di qualunque porcheria “artificiale” trovi al supermarket. I reparti di geriatria sono pieni di persone che non sono autosufficienti per la propria nutrizione. Morirebbero tutti se non ci fosse l’amore di qualcuno che gli porta il cucchiaio alle labbra o aziona la siringa del sondino o la pompa PEG. Il diritto alla idratazione e alla nutrizione è recentementestato sancito dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (art. 25 lett. f) Si fa presto. “Accanimento terapeutico” Accanimento è una parolaccia. Dell’assistenza ad Eluana si occupano con dedizione, da 14 anni, le suore della casa di cura Beato Luigi Telamoni di Lecco. Nel silenzio, senza “latrati”. E nel silenzio sono altri pazienti nelle condizioni di Eluana, 500 nella sola Lombardia. Cosa facciamo per queste centinaia di pazienti? Perché i casi che arrivano sui giornali riguardano come mettere fine alle sofferenze di uno di loro e non come alleviare quelle degli altri? Perché conosco Terry Schindler Schiavo (SVP da 15 anni USA, morta dopo 14 giorni di digiuno), Hevrè Pierra (SVP da otto anni, Francia, morta dopo sei giorni di digiuno), Toni Blands (SVP da quattro anni, Gran Bretagna, morto dopo il digiuno) e tutti gli altri no? Diamo voce anche a loro. Non perdetevi questo link. Anzi leggete solo questo e scordatevi il mio post. L’alimentazione è una terapia? C’è chi dice no, c’è chi dice sì. E’ terapia proporzionata, adeguata, ordinaria? O è sproporzionata, inutile, straordinaria? Eluana è in buone condizioni generali e nutrizionali. Non è paziente terminale. Il suo organismo assimila adeguatamente le sostanze nutritive, senza manifestare intolleranze. Se l’alimentazione è terapia, è terapia efficace, raggiunge lo scopo. E' invasivo un sondino nasogastrico e non è invasivo sospendere l'alimentazione? Se è terapia l’alimentazione, ogni cura del corpo malato è terapia. Si può smettere di curare l’igiene personale, si può smettere di prevenire fenomeni di embolia polmonare, lesioni da decubito, infezioni respiratorie. Si può spegnere il riscaldamento d’inverno. La situazione in cui vive Eluana è drammatica, angosciante, umanamente penosa. Ma le alternative a disposizione fanno paura. Perché il giudice dispone di sospendere l’alimentazione e proseguire con tutto il resto? Perché raccomanda il ricovero in Hospice o in altra struttura confacente … umidificazione frequente delle mucose, somministrazione di sostanze idonee ad eliminare l’eventuale disagio da carenza di liquidi, cura dell’igiene del corpo e dell’abbigliamento, ecc. durante il periodo in cui la sua vita si prolungherà dopo la sospensione del trattamento? Perché questo giudice dice il contrario di quanto dicevano i suoi colleghi negli anni precedenti? Chi di loro sbaglia? Se lui ha ragione, tutti gli altri suoi colleghi prima di lui andrebbero perseguiti per aver costretto un essere umano a un inutile calvario. Si fa presto. “E’ quello che voleva lei” Prendi un ragazzo di 20 anni. Uno dei tanti, di quelli che ci dicono “pieni di voglia di vivere”. Portalo dalla sua aula di università in una qualunque rianimazione, poniamo una terapia intensiva neurochirurgica. Fagli vedere un suo coetaneo o, peggio, un suo amico, caduto con la moto, la testa fracassata, "chissà se ce la fa, quasi di sicuro non ce la fa". Tubi, macchine, drenaggi, monitor. L’inferno. Fatti dire che ne pensa. Trovane uno che non dica “Mai. Così mai. Piuttosto morto”. Questo è il testamento biologico che vogliamo? Il testamento biologico, come impropriamente lo si chiama, è zoppo: non ha il requisito indispensabile della attualità. E’ ideologico. Almeno non facciamolo sulla base della ricostruzione di una volontà presunta, desunta da dichiarazioni generiche, legate a carattere e stile di vita. Chiedete a quello stesso ragazzo “Vorresti stare sempre bene?” e vi dirà di sì. Anche quello è testamento biologico.

In difesa della vita

13:06 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

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Federica, uccisa nel "paradiso" senza crocifissi...

20:43 / Pubblicato da Alessandro / commenti (0)

Lloret de Mar come metafora del nostro tempo... I socialisti di Zapatero hanno annunciato di voler togliere i crocifissi dagli spazi pubblici. Il caso ha voluto che la notizia uscisse in contemporanea con l’assassinio di Federica, proprio in Spagna, a Llorett de Mar, in un divertimentificio che è il nuovo santuario dello sballo giovanile. Dove la discoteca è – come ha spiegato Vittorino Andreoli – la cattedrale pagana di “un grande rito di trasformazione collettiva” che fa dimenticare la vita e la realtà. Gli ingredienti (anche chimici) di questa “nuova religione” sono noti, con il solito comandamento: “vietato vietare”. La felicità si trova davvero lì? E perché Federica ci ha trovato la morte, macellata come un agnello? Nessuno ci riflette. Nell’euforica Spagna le autorità sembrano preoccupate soprattutto che il delitto non porti pubblicità negativa alla località turistica. E vai con la tequila bum bum, dimentichiamo la povera Federica e via i crocifissi. Anche noi da tempo li abbiamo tolti dai cuori, oltreché dalla vita pubblica. Anzi, l’immagine del crocifisso o quella della Madonna vengono periodicamente dileggiati da sedicenti artisti in nome della libertà d’espressione. Del resto il Papa stesso subisce questa sorte nelle manifestazioni di piazza della sedicente “Italia dei migliori”. E la fede cattolica viene azzannata, senza alcuna obiettività, in programmi televisivi che, se fossero realizzati contro qualsiasi altra religione, scatenerebbero subito l’accusa di intolleranza o razzismo. Contro Gesù Cristo invece sembra che tutto sia permesso. Poi, quando ci visita il dolore o si consuma la tragedia o assistiamo all’orrore, gridiamo furenti – col dito accusatore – “dov’è Dio?”, “Perché non ha impedito tutto questo?”. Dopo l’ecatombe dell’ 11 settembre a New York si alzò questo stesso grido e una donna, in tutta semplicità, parlando in televisione rispose così: “per anni abbiamo detto a Dio di uscire dalle nostre scuole, di uscire dal nostro Governo, e di uscire dalle nostre vite. E da gentiluomo che è, credo che Lui sia quietamente uscito. Come possiamo aspettarci che Dio ci dia le Sue benedizioni, e la Sua protezione, se prima esigiamo che ci lasci soli?”. (...) Per visionare l'intero articolo linkate sul titolo oppure direttamente qui: http://www.antoniosocci.it/Socci/index.cfm

Il tempo della libertà

12:33 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (2)

Così don Giussani chiamava il tempo delle vacanze, che normalmente è solo evasione e dimenticanza dagli impegni quotidiani, ma che invece è (dovrebbe essere) ripresa di uno sguardo attento alla realtà e a ciò che il Mistero vi fa continuamente accadere. Quella libertà che si muove davanti a una proposta, come ho sentito dire recentemente da Julian Carron a una vacanzina a cui ho partecipato, nelle belle montagne di St. Moritz. Poi sta a te starci o no a questa sfida, ma la proposta è lanciata, inutile far finta che non sia così. Una vacanzina a cui vai perché, soprattutto, non vedi l’ora di fuggire almeno per un paio di giorni dalla canicola milanese e poi ti capita di tutto(per due giorni ho girato con la mia bella t-shirt "Amici di Simone Tanturli", ci tengo a dirlo...). Anche entrare in ascensore una sera per andare in camera tua e trovarti davanti, proprio mentre le porte dell’ascensore si stanno chiudendo, Carron che fa per entrare. Gli incontri possono accadere ovunque, anche in ascensore. Due parole di circostanza e poi ti scappa di dirgli che sì, sei lì ma in fondo immeritatamente. Una pacca sulla spalla, paterna, come a condividere con te la realtà, e un commento, con quell’accento iberico che in quei giorni di Spagna campione d’Europa evidentemente gli piace accentuare: “Immeritatamente…. Se fosse per i nostri meriti dove saremmo?”. Uno sguardo diverso, il suo, altro che il tuo guardarti l'ombelico chiedendoti se ti meriti essere lì o no. “Il Mistero ci chiama attraverso le sue creature” dirà poi Julian nell’incontro finale della vacanzina: che sguardo diverso ci vuole per vivere così. E allora tutto il tempo delle vacanze, il tempo della libertà, non a caso ha una meta finale, a cui guardare continuamente e che porterà questo tempo a compimento, il Meeting di Rimini: o protagonisti o nessuno. Ci vediamo lì. O anche prima.

Il grido del rock

14:59 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (3)

Una sfida non da poco. Commentare alcune delle più famose e belle canzoni della storia del rock partendo da un giudizio e da uno sguardo aperti alla realtà in tutti i suoi aspetti. Quello che ne è venuto fuori è il primo libro del genere in Italia che passa oltre all’usuale visione ideologica secondo cui è stata sempre trattata questa musica e invece lascia trapelare il grido che ogni uomo ha nel cuore, anche i cantanti rock. E cioè, per dirla alla Kurt Cobain, che un Altro si faccia presente, incontrabile, ora: vieni come sei, come un amico, come un nemico, ma vieni. Quando questo grido è disatteso, allora c’è spazio solo per la disperazione. In un percorso diviso in tematiche come l’utopia, la strada, la realtà, l’attesa, il cuore, il divino, circa 150 canzoni commentate da alcuni esperti del settore: Walter Gatti, Paolo Vites, Riro Maniscalco e Stefano Rizza. Con i contributi di Giorgio Natale, Walter Muto e Giacomo Sanguineti. Il libro sarà presentato al prossimo Meeting di Rimini.