La rana creativa (contributo di Nicola Lonato)

12:59 / Pubblicato da Alessandro / commenti (1)

Se la creatività che salverà il mondo è quella della rana crocifissa preferisco l’osteria. Quattro o cinque amici a casa di uno di questi, cena e i soliti aneddoti che non sai mai cosa è vero e cosa frutto di un rutto malcelato.

Mio fratello racconta, immagino la scena: autostrada che porta alla capitale del Sudan, pochi chilometri fuori dall’abitato, mezzogiorno, sole a picco, fila di croci gravate dai corpi penzolanti di malfattori (cristiani e non) ai bordi della striscia asfaltata, d’altronde li vige la sharia, altro
che fantasia al potere. Il giorno dopo verifico, è così. Chi non ci crede cerchi su internet o vada a vedere di persona (ma raccomando la prima soluzione specialmente alle signore che amano mostrare grossi crocifissi soffocati nel vistoso decolté).
E’ il 29 agosto anno di grazia 2008, Stazione di Milano.
Il treno che volevo prendere è pieno di milanesi vogliosi di raggiungere la Liguria, aspetto il successivo e per ingannare il tempo compro il Corriere della Sera (Libero l’ho già letto al mattino e Il Foglio non c’è più), mi rifilano alla modica cifra di 1.50 Euro 60 pagine di articoli melassosi + un pacco di carta patinata tenuta insieme da un generosa dose di colla (arguisco si tratti di un magazine allegato al corriere). Non avendo niente di meglio da fare comincio a sfogliare l’imponente plico.
Nel Magazine trovo tra le prime pagine un articolo di grande spessore culturale che non nasconde una certa ambizione da profeta laico dell’autore (c’è anche la foto di un tizio a cui cresce l’erba in testa). Il sunto è: la creatività fa la differenza fra l’uomo e la bestia, il team creativo (la versione moderna dell’avanguardia proletaria?) è l’unica speranza di salvezza dell’umanità. Chi non ci crede legga l’articolo, se non lo trovate e vi interessa (ma spero per
voi abbiate di meglio da fare) ho conservato il foglio. Cominciano a girarmi leggermente, salgo in treno e passo alla lettura del giornale di via Zolferino (come direbbe padre Livio) Corriere della Sera del 29/08/08 articolo a metà giornale, premessa: ne avevo sentito vagamente parlare ma non so quasi niente della vicenda. Sunto del vigoroso pezzo giornalistico: nonostante le proteste degli integralisti cattolici e dei soliti politicanti in cerca di voti la genialmente estroversa rana crocefissa potrà continuare a beneficiare non so quale museo di Bolzano della sua presenza, garantendo speciali benedizioni apostoliche e un sicuro successo nella necessaria lotta all’ipocrisia delle apparenze. Scopro inoltre che la simpatica bestiola tiene in una mano un boccale (che io mi immagino di birra) e nell’altra un uovo…. se non sembrasse blasfemo verrebbe da dire croce e delizia. D’altronde l’astuto giornalista fa anche notare come sia proprio per sconfiggere l’ipocrisia del mondo moderno che la divina rana è stata generata dal grande artista di cui in questo momento mi sfugge il nome (e da me subito ribattezzato “il padre della rana”, ma sul quale non infierisco perché dicono sia andato a far parte dei più).Chi non ci crede legga l’articolo, mentre scrivo ho il giornale sotto mano, se mi ricordo conserverò anche quello.
Ora io ho sempre detestato i farisei della prima panca (infatti quando vado in chiesa cerco sempre di stare in fondo), tutta la mia simpatia è sempre andata al poveraccio che non
riusciva mai a infilarsi per primo nella piscina di Betzaetà e perciò è rimasto li come un pirla per 38 anni (quella dove di tanto in tanto un angelo agitava le acque e il primo che vi si immergeva dopo l’agitazione guariva da qualsiasi malattia fosse affetto)
Però – ragazzi – io forse mi sono perso qualche puntata, ma se uno dei gloriosi traguardi raggiunti dal genio creativo contemporaneo è la rana crocefissa e la creatività umana è l’unica speranza di salvezza….. preferisco fare un salto all’osteria e cantare qualche canzone del vecchio Bob, o ancora meglio rileggermi il "secolo cane-lupo" del buon Mandelstam, ma siete liberi di non crederlo. (Post a cura di Nicola Lonato)

Cronache da una vacanza

14:10 / Pubblicato da Alessandro / commenti (1)

La storia di ciascuno di noi è qualcosa sempre di unico e misterioso. Affascinatamente misterioso. Nelle mie vacanze estive c'è qualcosa che riguarda un pò tutti. Agosto 2008, tre settimane abbondanti di ferie hanno inizio. Novità? Nessuna. La spirale negativa che ha investito l'economia mondiale a casa mia è arrivata quando ero piccolo. Anche quest'anno non ci muoveremo, le ferie si trascorreranno a Chiavari (che vabbè non è Malibù ma neanche Quarto Oggiaro). Imprevisto. Per tre settimane ospiteremo gli amici della famiglia Vites. 85 mq. (ma un giardino), otto cristiani (nove nell'ultima settimana). Gli spazi sono quello che sono, il bagno occupato quando ti serve proprio, il divano che ospita bambini sudati che pare si crogiolino al sole della costa smeralda, le loro voci cosi squillanti che a volte vorresti schizzar fuori ad imitar Weismuller per coprire come Tarzan tutto quanto. In quelle voci acute che sembrano inseguirsi durante tutto il giorno, a volte sembra di sentire anche quella di Simone, sicuramente partecipe dei piccoli, minuscoli ma, voglia Dio, inarrestabili cambiamenti del suo papà. Certezze? Un'amicizia che nella condivisione di tutto ti fa avere più cura persino di te stesso. D'altronde la mia storia è fatta dell'esperienza di essere amato ed accolto. Qualcuno ha disposto cose, fatti, uomini e sentimenti per realizzare un bene al quale non puoi non aderire. Dare la disponibilità di quello che hai non è essere buoni e bravi, è condividere quello che hai avuto perchè è qualcosa di cui non puoi fare a meno. E ne sei contento. C'è stato nella mia vita, chi mi ha testimoniato che l'Accoglienza (di un bimbo o di un vecchio, di un handy o di un amico) è l'unica modalità di un rapporto umanamente degno, perchè rende evidente il fondo della questione, porta a galla a chi appartengo e in chi consisto, il limite e cosa lo supera, insegna perchè l'altro ha così tanto a che fare con me. E poi, quella persona. Quella che un giorno davanti a Dio hai giurato di onorare e di esserle fedele sempre. Si quella è, volente o nolente, la primissima forma di accoglienza ed è normalmente anche la più difficile perchè è stringente e senza tregua, condividere tempi e spazi che di solito sono esclusivamente "tuoi" con gli amici, ti educa e ti fa fare un lavoro che altrimenti non faresti. E alla fine non ti è stato tolto nulla, anzi. Grazie ai nostri amici per aver trascorso le loro vacanze con noi e non a Malibù!

Le vacanze di Sara

14:04 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (1)

A Madesimo, nel rifugio Camanin, Sara (11 anni) ha passato una bella vacanza. Ecco il suo racconto: "Sono stata in montagna a Madesimo con Lorenzo Crosta e i ragazzi disabili di Bresso, della Novella e di Inarzo. In queste due settimane mi ha stupito l'ordine di questi ragazzi nelle stanze da letto e nel resto delle cose. Molto spesso crediamo che le persone disabili siano degli incapaci e che non sappiano cosa voglia dire ordine, ma queste due settimane dimostrano che con una compagnia che li sostiene possono imparare molto. Non solo i ragazzi sono sorprendenti, ma anche gli adulti che li circondano perché come ha detto una amica, loro hanno avuto il coraggio e lo hanno anche adesso di pulire il sedere e preparare la colazione per quelli che da soli non ci riescono. Ho fatto un sacco di gite, una delle più belle è stata quella dell'Angeloga, una gita di tre ore tutta in salita. Mi è piaciuta molto perché è la gita in cui ho imparato più cose. Mentre stavamo camminando abbiamo visto un'aquila meravigliosa e subito mi sono posta una domanda: 'Come avrà fatto Dio a creare una cosa così bella?'. Un buon consiglio mi è stato dato dalla mia amica Luisa: 'Pensa che ogni passo in più che fai è uno in meno per arrivare alla meta'. Funziona veramente! Anche la gita al ruscello è stata divertente perché era bello sedersi intorno al fuoco e mangiare i panini e un buonissimo formaggio alla griglia. Poi io e la mia amica Benedetta abbiamo messo i piedi nell'acqua gelata e ci siamo divertite ad attraversare il ruscello. Io sono caduta e stranamente non mi sono bagnata neanche un po'. Ma le giornate erano sempre belle. Negli ultimi giorni ha piovuto, ma ci siamo divertiti lo stesso perché in salone abbiamo messo della musica e ci divertivamo a guardare i ragazzi che ballavano in modo strambo. Questa vacanza mi è stata molto d'aiuto, ho imparato molte cose, mi sono divertita tanto e anche riposata".

I ravioli di Borzone

16:55 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (1)

Dici Liguria e dici vacanze e grazie al cielo questa splendida terra non è solo - d'estate - ammasso di corpi schiacciati l'uno all'altro su spiagge bruciate dal sole. C'è di più. Così una bella mattina una coraggiosa pattuglia composta dalle famiglie Vites, Andraghetti e Tanturli in rappresentanza dell'Associazione Simone Tanturli parte alla volta del ricco, affascinante e come scopriremo anche misterioso entroterra di Chiavari. Destinazione Borzone e la sua abbazia. Qui in queste montagne boscose il vento e il silenzio raccontano storie antiche, e ogni pietra racconta una storia. Qui la capacità di uomini antichi, e poveri nei loro mezzi, di costruire case del Signore che testimoniassero la bellezza è evidente ancora oggi, secoli dopo.La torre campanaria, ad esempio, ha molto da raccontare, parzialmente costruita con i classici "conci bugnati" tipici dell'architettura bizantina, che rivelano come questa fosse stata inizialmente una torre di avvistamento dei soldati bizantini che qui aspettavano, durante la guerra gotica del VI secolo d. C. i longobardi per ricacciarli lontano (è da quei tempi che probabilmente nacque l'antipatia di certi liguri verso le transumanze estive di popolazioni padane verso i loro lidi...). E poi le pietre messe su una a una dai monaci che di questa fortezza fecero un convento. Le pietre parlano, ma ancora meglio parla,pieno di entusiasmo, l'abate di oggi, Padre Attilio, qui da qualche mese dopo una vita passata nella lombarda Cassano Magnago. Lo senti parlare e ti sembra di vedere file silenziose di antichi monaci che tra queste montagne tenevano forte la fede del popolo. Il riconoscersi e il coinvolgersi, tra gente che vive ugualmente con la stessa tensione al destino, è sempre facile, così l'abate invita uno di noi a leggere una lettura durante la messa che qui siamo venuti a prendere, poi ci indica un gruppo di vacanzieri del varesotto, "Sono di cielle anche loro, anzi alcuni erano miei compaesani" sorride. Poi ci sfida. Andate a vedere quel volto scolpito nella pietra e ditemi se vi sembra opera della natura o di mani d'uomo. Accettiamo la sfida, alcuni di noi già lo conoscevano, e certamente quando scorgi quell'enorme roccia sopra i boschi resti a bocca aperta. Dicono che sia il volto di Cristo, oppure quello di un antico o re che governava la valle, scolpito da ardite mani d'uomo sulla roccia, la più grande scultura monolitica d'Europa. Non si sa a quando risalga, certo è che più lo fissi e sembra che quegli occhi ti fissino a sua volta. Rivolto a dominare la valle sotto di lui, sta lì in silenzio da millenni. Personalmente sono scettico, glielo dico all'abate più tardi, "Per me è un semplice scherzo delle rocce". "Ah sì" dice lui con l'aria di chi la sa lunga "hai tenuto conto di tute le variabili che ci sono sottese?". Come dire, uomo di poca fede, hai tenuto conto di tutti i fattori che compongono l'oggetto? Del tipo: l'incredibile simmetria degli occhi, la precisione del naso, il mento con i baffi e barba che piega dolcemente, e non ricorda anche il volto della Sindone? Be' cavolo è vero... E poi la posizione, a dominare e scrutare la valle, come volerla proteggere. E poi, ma lo scopriremo più tardi, nella valle dello Sturla è stata tradizione per secoli quella di riprodurre volti simili che si mettevano sulle porte di casa o all'interno come segno di protezione, anche se nel tempo nessuno si ricorda di chi fosse quel volto. Tre antichi monaci benedettini in pausa pranzo Lasciamo Borzone dopo aver presentato all'abate l'Associazione, promettendo di rimanere in contatto reciproco, e dopo un ottimo pranzo dalle portate infinite che risulterà gradito a grandi e piccini (come dirà una di loro alla sera, "i ravioli di Borzone sono stati la cosa più bella"; ma solo perché non si è ricordata di quel volto nella roccia). Non paghi, andiamo fino al Lago di Giacopiane, una vista sfavillante sotto al sole, una camminata nei boschi fino a una fresca cascata e poi la vista maestosa dall'alto dei monti fino al mare scintillante laggiù. Dopo una giornata così, non puoi fare a meno di ripeterti fra te e te, "come è bello il mondo, come è grande Dio". Il giorno dopo , in spiaggia, una delle nostre bambine giocando con la sabbia dirà: "Questa torta di sabbia è per Gesù per ringraziarlo che ha fatto il mondo e tutte le cose". Qualcosa della lunga gita del giorno prima deve essere rimasto anche a loro, oltre ai ravioli naturalmente. Che erano davvero buonissimi.

"Per Gaber" - articolo di Claudio Chieffo (febbr.2003)

12:27 / Pubblicato da Alessandro / commenti (0)

Ci sono persone che, ad un certo punto della loro vita o forse dall'inizio, chissà, intraprendono una corsa inarrestabile verso la Verità e la Bellezza (che loro vedono, giustamente, come inscindibili, anzi meglio: una sola cosa) e questo privilegio, questa Grazia, che si portano dentro, con consapevolezza diversa a seconda dei momenti della loro storia, in mezzo alle contraddizioni, ai limiti e alle fragilità varie di cui è imbastita la loro persona, li spinge a continuare questa corsa che è poi l'unica degna di ogni sacrificio.Giorgio Gaber è uno di questi. Quando nella mia fonovaligia Lesa (si chiamava così allora) ascoltavo il 45 giri di "Non arrossire" che conteneva sul retro un'altra stupenda canzone, "Le strade di notte" e mi innamoravo lentamente di quella voce e facevo le mie prime canzoni non avrei mai sperato di poterlo incontrare, conoscere, diventare, come tanti altri, suo amico. Ricordo bene le parole che gli diceva un solerte compagno che voleva dissuaderlo dall'incontrarmi al ristorante "Vittorino" a Forlì, dove veniva spesso in tournee, quando gli portai, tutto fiero, il mio secondo LP, La Casa, era il 1978, ma lui volle incontrarmi lo stesso e mi invitò alle prove e cominciammo a parlare e a discutere: fu l'inizio di una amicizia che non è finita neanche adesso. Era uno strano incontro tra il suo "dubbio" e la mia "certezza": "Io non potrei mai fare canzoni come quelle che fai tu, ci sono troppe certezze dentro, però… Il fiume e il cavaliere …mi piace" e io a dirgli che di certezze ne avevo una sola: la Misericordia di Dio, che, se anche lui non la sentiva, c'era. Una volta, molti anni dopo, al termine di un suo incontro al Meeting di Rimini mentre lo salutavo con i miei figli - li chiamava i chieffini - mi disse "Beato te che hai un popolo a cui appartenere!". E poi ancora, durante un concerto che facemmo insieme a Chiavari, intervenne duramente contro uno spettatore che mi derideva e insultava ad alta voce… e che parole piene di affetto, belle e lusinghiere (le rileggo ancora quando mi viene voglia di smettere) scrisse per i miei 25 anni di canzoni su "Il Sabato"! Aspettavo con ansia ogni suo lavoro ed ero spesso invitato all'anteprima dei suoi spettacoli e cercavo sempre di esserci e, quando alla fine, nel suo camerino, ne parlavamo, voleva sapere il mio giudizio anche sugli aspetti più tecnici, suoni, luci, microfoni… ma io ero più colpito dalla bellezza, a volte disperata, delle canzoni e glielo dicevo e lui si schermiva e mi abbracciava. Il rapporto che Gaber aveva con il suo pubblico era unico e stupendo anche perché chi lo ascoltava non poteva non volergli bene, non poteva non essergli grato per la commozione che c'era in sala; e lui lo sentiva, lo sapeva e ci "viveva" di quel rapporto e lo cercava e ne aveva nostalgia. Per forza rifiutava "la televisione", ma volete mettere quei teatri pieni di ascolto, di affetto… di partecipazione? Non ha mai accettato che la "politica" fosse l'ultima parola su di lui e sulla vita (esemplare il bellissimo rapporto con sua moglie) e infatti "la televisione" non lo voleva; la sua corsa verso la Verità e la Bellezza, il suo anelito per la Giustizia (quella vera, perché la giustizia sommaria non gli interessava) non si sono mai fermati. Ci sono persone come attraversate, nonostante tutto, da una Grazia, che in questa corsa inarrestabile rivelano, in una canzone, in un film, in una poesia, in un dipinto, in una risata, riflessi di quella Verità e Bellezza da cui sono, inesorabilmente, attratti. "Allora vide in fondo all'acqua che passava il volto della pace che cercava e bevve avidamente dell'acqua del torrente e rivide la casa e la sua gente"… mi immagino che Dio gli sia corso incontro colmando, Lui, la distanza.