Birra e nebbia. A Milano

09:35 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

All'inizio è qualche bottiglia di birra, che passa di mano in mano. Poi ne spunta una di grappa, ma è già mezza finita. Qualcuno ha portato del limoncello e si fa fuori anche quello. No, non siamo a un qualche ritrovo trendy della Milano da bere. Siamo alla periferia di questa Milano, immersa nella nebbia fredda che entra nelle ossa da farti urlare 'datemi un po' di sole per favore'. Siamo nell'ufficio del rettore di questa prestigiosa scuola privata milanese, che se lo vedessero, il suo ufficio, adesso, oltre alle bottiglie anche una nuvola spessa di fumo di sigarette, certi genitori in pelliccia che arrivano qua la mattina presto a portare i figli a bordo di fuoriserie extra lusso, forse i figli li porterebbero altrove. Scandalizzati. Le apparenze, le istituzioni, tutto è trasceso e diventa più umano, più bello, con don Eugenio, che è lui il rettore di questa scuola. Che è lui che ci ha invitati nel suo ufficio dopo l'usuale incontro che tiene, davanti a qualche centinaio di persone, ogni quindici giorni, a leggere e a discutere un testo di don Luigi Giussani. "Tutto per noi è importante, tranne la vita" abbiamo letto poco prima. Invece qui, con don Eugenio, l'unica cosa che conta è la vita, quella vera, quella dove si inciampa, si cade malamente e dove si può ricominciare ogni volta daccapo: "Puoi sbagliare un milione di volte" dice "tanto Dio ricomincia con te un milione di volte". E' così che mi sento stasera. Anche a 47 anni si ricomincia daccapo, se quello che ti interessa è la vita, la vita intera. Per qualche motivo mi viene da pensare alla prima volta. Anche allora fu un prete, don Batti come lo chiamavano, in una piccola parrocchia dalle parti di Sestri Levante, dove ci portavano, noi ragazzini di 12, 13 anni, a giocare e cantare insieme. Era, oggi come allora, un prete che non ti chiedeva proprio niente chi eri e cosa avevi fatto. Un abbraccio, stasera come allora, per cominciare e ricominciare. Che la cosa grande è che il posto c'è sempre, a Sestri Levante come nella periferia di Milano, che c'è una nebbia fredda da bestia e ci fosse un po' di sole per favore, domattina. "Posso passare a salutarti, tra un appuntamento che hai e l'altro, qualche volta?" chiedo quando birra e limoncello sono finiti. "Quanto tempo ti serve, cinque minuti?" risponde il prete. "Facciamo dieci". "No, se vieni, stiamo insieme un'ora". Forse era la birra, o l'ora tarda. Però è proprio vero, come diceva il prete prima, che non affidarsi a Colui a cui apparteniamo, a questa compagnia, quello è il peccato. Aggiungerei che non affidarsi a Colui a cui apparteniamo sarebbe proprio da cretini.

HOLY LAND - Nove giorni in Terrasanta

21:35 / Pubblicato da Alessandro / commenti (6)


"Non si può tornare dalla Palestina con il dubbio che il cristianesimo sia una favola"
(Luigi Giussani)

Nove giorni inaspettati in Terrasanta. Arrivati per l'amicizia di chi lì è già stato e ha detto:"ne vale la pena, ti aiuto io". La Verità toccata con le mani. L'uomo è fatto della sete di toccare, di vedere, di udire il Verbo della vita. Lo ricordava, in una sua poesia, il premio Nobel Milosz: "Sono solo un uomo. Ho quindi bisogno di segni sensibili. Il costruire scale di astrazioni mi stanca presto".
Nove giorni a vedere e toccare sassi. In fondo non sono altro che sassi. A Betlemme, a Nazareth, a Gerusalemme. Sassi ovunque. Tutti protetti da strati sovrapposti di civiltà antiche. Qui è passata la storia: romani, bizantini, musulmani, crociati, predoni di ogni razza, di nuovo musulmani. E poi ancora cristiani ortodossi o armeni, copti e maroniti. Oggi ci sono 40 riti diversi, a Gerusalemme, solo tra i cristiani. Ma non è un'accozzaglia di gente, quella che vedi. Ognuno sta lì orgoglioso di quel che è, della sua storia, della sua provenienza, delle sue tradizioni, della sua identitá.
Capisci di essere nel cuore del mondo. Nei secoli si sono avvicendati coloro che hanno tentato di preservare questi luoghi a coloro che invece hanno tentato invano di distruggerne la memoria. Cancellare il ricordo di quell'uomo morto in croce.Una terra tanto amata e venerata da più religioni quanto divisa e tormentata da un' infinità di problemi.
Accarezzare con le mani tremolanti la pietra levigata del SANTO SEPOLCRO, proprio lì, dove Gesù è risorto, è forse l'esperienza più forte del mio viaggio in Terra Santa. Gesù è anche a Chiavari, nella piccola città borghese in cui sono nato e cresciuto, lo so. A Gerusalemme è “solo” risorto, ma come non sentir il cuore scoppiare quando si è lì davanti? Come non sentire che è risorto per me? Per me.
La Chiesa del Santo Sepolcro, così come le altre decine di chiese viste in Terrasanta, non è bella, anzi.
Appena ti avvicini senti però calamitare il cuore verso ciò che custodisce. Entrando, sulla destra, c'è una scalinata molto ripida, che porta in cima alla collina del CALVARIO. Mentre sali non puoi non pensare alla sofferenza di Chi quella fatica l'ha fatta sotto il peso della croce, dopo essere stato torturato, deriso, ingiuriato.
Arrivi davanti ad un altare e vedi la roccia del Calvario, la roccia nuda, e quando ti inginocchi puoi mettere le mani dentro una fessura circolare, e toccare la roccia, la roccia vera del Calvario, proprio quella che c'era duemila anni fa quando l'hanno crocefisso. Tutt'intorno c'è penombra, tante candele e tante lampade illuminano discretamente le icone alle pareti. Lampade e icone tipiche delle Chiese ortodosse.
Poi si scende una scalinata e vicino, c'è il vero e proprio Santo Sepolcro. E' una piccola Chiesa nella Chiesa più grande. Io immaginavo fosse lontano chilometri dal punto in cui Gesù era stato crocefisso, invece è vicinissimo, 'a un tiro di sasso' dice il Vangelo, saranno al massimo trenta metri in linea d'aria. Entri nel primo ambiente, piccolo, al centro c'è una roccia, su cui è apparso l'angelo ad annunciare alle donne che Gesù era risorto, e poi ti chini, passi attraverso un'apertura stretta, ed entri nel cuore del mondo. Sulla destra c'è una pietra, la superficie di un altare, consumata da mille e mille mani, capisci che è successo tutto lì, proprio lì. Mi sono inginocchiato, ho baciato la pietra e l'ho accarezzata. Lo spazio è angusto, si sta al massimo in tre in ginocchio, e lì, nel cuore del mondo, ho affidato me, la mia famiglia, i miei amici. Qualcuno più in particolare. Il mio piccolo amico Mattia è stato il primo.
Cristo è risorto mi ripeto. Anche per me. Ora mi è un po' più chiaro. E questo mi rasserena.
E' difficile raccontare tutto, impossibile. Il viaggio è durato nove giorni ed ogni giorno è durato quaranta ore.
E poi Betlemme. Territori autonomi palestinesi, posti di blocco.
La porta della basilica è bassa e stretta. Fatta per impedire che i musulmani ci entrassero dentro a cavallo. La Chiesa della Nativitá è sporca, tenuta male, gestita da cristiani ortodossi, c'è aria di abbandono. Chissà poi perchè. Scendo piccole scale e a destra una piccola grotta. E' il luogo dove è nato Gesù. Un luogo più povero e semplice difficile immaginarselo.
Starei lì per giorni. Ma uscendo la commozione per la grotta del Gesù Bambino lascia spazio al mio orgoglio. Avrei voglia di una nuova crociata per riprendere i luoghi della nostra storia. Ma subito mi ricordo di chi, tempo fa, mi ricordava che all'intenzione buona accompagno sempre un metodo sbagliato. E infatti di quello che hanno fatto i crociati non è rimasto praticamente nulla. Quello che qui è rimasto è il lavoro dei francescani, quello che hanno costruito in secoli di presenza qui.
Custodito questi luoghi sacri, costruito scuole per tutti, aiutato tutti. Missionari veri con centinaia di martiri. Hanno testimoniato Gesù stando in mezzo alla gente.
Qui abbiamo conosciuto il priore, padre Pizzaballa, alla messa dell'ultimo dell'anno. Ho sorriso solo quando lo hanno presentato. Poi incantato nel sentirlo raccontare dei suoi fratelli e di sé, degli amici arabi e israeliani con un'umiltà a me sconosciuta.
E la speranza, da queste parti, ha le facce di coraggiosi uomini di fede che, ringraziando Gesù, qui non mancano. Uno era con noi, guida instancabile ed affascinante, padre Afif, cristiano maronita che ci ha accompagnato intelligentemente tutti i giorni. Perchè non ci ha fatto sprecare il tempo in un percorso turistico religioso di cui non sentivo il bisogno.
E poi Tiberiade. La piccola chiesa costruita sulla roccia in riva al lago dove Gesù chiese a Pietro: “mi ami tu più di costoro?” Qui fu il primo papa. Qui rinnovo, con i miei amici, la promessa battesimale. Al momento della benedizione al nostro amico padre Afif sfugge il tappo della bottiglia di Acqua Santa e mi lava. Sarà che ne ho più bisogno degli altri?
Il lago è stupendo, le sue rive sono a ridosso di una vegetazione ricca. Qui Gesù visse più di tre anni e compì molti miracoli. Credo che il tempo abbia cambiato poco o nulla da allora. Anche qui starei per giorni. Non si può.
A Gerusalemme abbiamo fatto la via crucis in mezzo ai suk arabi. Tra musulmani che frantumavano i coglioni per acquistare qualcosa, bambini urlanti, turisti che manco ci pensavano a fare un po' di silenzio. Ma credo che, come ci ha detto Afif, Gesù abbia attraversato la città con la croce sulle spalle in questo contesto, tra l'indifferenza dei più.
Ho visto tanti sassi. Ma sono sassi della mia storia, della storia di tutti. Della storia magnifica che ci ha preso dentro.
Tornando a casa ho la sensazione di stare venendo via proprio dalla mia vera casa.
                             
                                                                                        (con materiale tratto in parte da stranocristiano.it)






 Qumran - i rotoli del Mar Morto


 La Chiesa sulle rive del lago di Tiberiade- primato di Pietro


 Sfondo di Gerusalemme


 La Scala Santa - Salita al Sinedrio






Posto blocco palestinese

Il portico del mistero della seconda virtù

11:18 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

Ma viene un giorno, viene un’ora. In cui bisogna prendere il coraggio a due mani. E rivolgersi direttamente a colei che è al di sopra di tutto. Rivolgersi arditamente a colei che è infinitamente bella. Perché è anche infinitamente buona. A colei che è infinitamente nobile. Perché è anche infinitamente cortese. A colei che è infinitamente ricca. Perché è anche infinitamente povera. A colei che è infinitamente grande. Perché è anche infinitamente piccola. A colei che è infinitamente giovane. Perché è anche infinitamente madre. A colei che è infinitamente ritta. Perché è anche infinitamente protesa. A colei che è infinitamente gioiosa. Perché è anche infinitamente dolorosa. Settanta e sette volte settanta dolorosa. Bisogna salire A colei che è infinitamente celeste. Perché è anche infinitamente terrestre. A colei che è infinitamente al di sopra di noi. Perché è anche infinitamente tra di noi. A colei che è Maria. Perché è piena di grazia. Ascolta, ora ti spiegherò come, in che la santa Vergine è una creatura unica, Di una rarità infinita. Seguimi bene. Tutta la creazione era pura. Ma il peccato di Satana sedusse, corruppe la metà degli angeli. E il peccato di Adamo sedusse, corruppe nel sangue la totalità degli uomini. In modo che non c’era più di puro che la metà degli angeli. E nulla degli uomini, Nessuno degli uomini, In tutta la creazione. Quando fu creata questa creatura unica, Benedetta fra tutte e donne, Infinitamente unica, infinitamente rara, Adesso. Infinitamente gradita a Dio. E nell’ora della nostra morte così sia. Ascoltami bene. A tutte le creature manca qualcosa. Non soltanto il fatto che non sono il Creatore. (Questo è nell’ordine delle cose.) A quelle che sono carnali manca precisamente di essere pure. Noi lo sappiamo. Ma a quelle che sono pure manca precisamente di essere carnali. Bisogna saperlo. E a lei al contrario non manca nulla. Perché essendo carnale lei è pura. Ma, essendo pura, è anche carnale. Ed è così che lei non è solo una donna unica fra tutte le donne. Ma è una creatura unica fra tutte le creature. In questo disastro. In questo difetto. In questa mancanza. In questo disastro della metà degli angeli e della totalità degli uomini non c’era più nulla di carnale che fosse puro. Quando un giorno questa donna nacque dalla tribù di Giuda Per la salvezza del mondo Piena di grazia. Charles Péguy