La risposta alla mia solitudine

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La lettera scritta da MAURIZIO CORA, che ha perso moglie e figlie nel terremoto dell’Aquila Caro direttore, ora che Natale lascia più spazio al silenzio, il Disagio chiede in giro il nome del negozio dove si vende il coraggio per continuare a vivere. Il Disagio non sa neppure da dove viene, né quanti anni ha: esiste e basta. Dinanzi a lui la domanda è se valga ancora la pena di continuare a lottare per esistere. Quando non avevo ancora i capelli bianchi, talvolta il Disagio bussava forte anche alla mia porta, ma subito veniva allontanato dall’amore sconfinato di mia moglie, dai primi sguardi azzurri delle mie bambine, dalle candeline dei loro compleanni, dalle canzoni dei Beatles, dalla brezza di primavera. Ma ora che il dolore non mi ha risparmiato e che il tempo mi ha accompagnato sino a qui, la Solitudine come una maestra severa nel mio deserto domestico mi interroga sul senso dell’esistere e mi affanno a cercare risposte. Ma oggi che ancora una volta è Natale e un piano lontano suona l’allegra malinconia di Grieg, mentre la sera ruba in fretta la luce dal giardino, quel misterioso bagliore della stella cometa risponde per me. (Maurizio Cora)

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Scelto da suo figlio

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06/12/2010 - Gogo è morto il 5 novembre a causa di una malattia degenerativa. Cresciuto a Calcutta dalle suore di Madre Teresa, è adottato da Marina e Tommaso. Che si «lasciano amare», fino a un addio pieno di «grazie»
  Una foto di Govindo.
Govindo era un ragazzo di 18 anni. Aveva il sorriso e il fisico di un bimbo. Gogo, come era chiamato da tutti, era affetto da una malattia incurabile. Era nato in India, la mamma lo aveva abbandonato e le suore di Madre Teresa si erano prese cura di lui. Nell’orfanatrofio di Calcutta, nel 1996, lo conobbe Marina. Marina era in India per lavoro, perché doveva realizzare un reportage sulle case di Madre Teresa. In quella di Shaishu Bhavan incontrò Govindo. Di figli in Italia lei e suo marito Tommaso ne avevano già quattro. Poi c’era il lavoro impegnativo, la famiglia... Eppure, una sera da Calcutta Marina chiamò Tommaso e gli raccontò di Gogo e lui tranquillamente: «Va bene adottiamolo. Ce la faremo». Le suore furono esplicite, non nascosero la diagnosi durissima: «Quella di Gogo è una malattia degenerativa. Non crescerà, non camminerà». Govindo arrivò in Italia nel giugno 1998. I medici gli avevano dato pochi anni di vita e invece è vissuto fino al 5 novembre scorso.
A un mese dalla morte pubblichiamo parte di ciò che il papà ha detto il giorno dei funerali, ricostruito sugli appunti e sulla memoria di alcuni presenti. Una testimonianza semplice del dono prezioso che è stato Govindo per la sua famiglia, e per chi, attraverso genitori fratelli e amici, lo ha conosciuto, magari anche per pochi minuti.

«Quella di Govindo è stata una storia avventurosa, drammatica, bellissima e misteriosa. E interrogando questo mistero in questi giorni mi si è fissata in cuore l’immagine, indelebile, di venerdì scorso, il giorno della morte: tutta la mia famiglia in ginocchio, in lacrime e in preghiera, attorno al letto di Govindo che ci lasciava. Ecco dunque una prima risposta, un primo pezzo di quel mistero: Govindo, come una lanterna viva, ha tenuto insieme la mia famiglia. Poi in quella stessa immagine ho visto anche un piccolo patriarca che, dal suo letto di morte, con i suoi occhi da bambino posati su di noi benché mezzi nascosti da una maschera ad ossigeno non adatta per il suo piccolo viso, diceva: vi ho rifornito di amore fino ad oggi, continuerò a farlo anche dopo. È per questo che non di strazio vi voglio parlare, ma di gratitudine. E ho tanti grazie da dire.
Innanzitutto grazie a Te Signore della vita, che hai chiamato all’esistenza Govindo, senza di Te Govindo non poteva esserci. Tu gli hai disegnato un destino pieno di sorprese, scritto con tante matite colorate, con tante persone. E ci hai anche ridetto attraverso di lui il Tuo sistema preferito, il Tuo trucco per farTi trovare: Tu nascondi le gemme più preziose della Tua creazione in involucri da poco, poveri, fragili, malati. In involucri spesso rifiutati. Come disse la sister all’orfanotrofio a Calcutta a mia moglie Marina: non prendete un bambino sano, prendete uno di quelli che nessuno vuole.
Grazie alla Madonna, che in tutti questi anni, densi di problemi e di tribolazioni, che non sono mancate, ed anche di gioie e di allegria, non ci ha mai fatto mancare nulla, ha tenuto tutta la mia famiglia sotto il Suo manto protettivo. Ci tengo a ringraziarla qui, in questa chiesa dedicata alla Vergine del Carmelo, alla Madonna della Traspontina, di cui sono devoto perché è la mia parrocchia. E, dovete sapere, che Govindo ha avuto una apparizione di questa venerata Madonna. Qui devo aggiungere un grazie a Mario, membro della Confraternita dello Scapolare, che ogni anno porta in processione nel quartiere di Borgo la bella statua della Madonna. Non posso dimenticare quella volta che Mario fece fermare la Madonna sotto casa mia, perché vide da sotto Govindo affacciato in braccio a me. E così la Madonna ci ha salutato appena fuori della finestra, ci ha quasi guardati in faccia e ci fu uno spontaneo applauso dei fedeli in processione.
Govindo ha avuto tanti amici. Lo vediamo anche oggi in questa chiesa così piena. Ma oggi si prega per lui in varie parti del mondo, a Buenos Aires, a Gerusalemme, a Calcutta, a Milano (il giorno dopo ho saputo anche in Africa e in Cina, ndr). Ne voglio ringraziare alcuni: il Coro che ha addolcito questa liturgia. Gli amici della prima ora - come la nostra padrona di casa Paola che nei primi tempi, quando io e Marina dovevamo lavorare, ha portato con la sua macchina Gogo a riabilitazione, - e quelli dell’ultima ora, come don Mario, il sacerdote che abbiamo chiamato venerdì per l’Estrema Unzione e lui invece ha proposto di cresimarlo, regalando così a Govindo una madrina in extremis come sister Elena delle suore di Madre Teresa di Calcutta. E poi tanti amici non solo miei e di Marina, ma anche dei miei figli, i quali hanno esibito sempre Gogo come una medaglia e l’hanno fatto conoscere a tutti i loro amici, che ora vedo qui. E poi grazie a voi colleghi di lavoro miei e di Marina, che in questi anni mi avete spesso chiesto come stava Gogo, che in questi giorni mi avete inondato di sms.
Govindo è arrivato in una famiglia numerosa, ma era anche circondato da famiglie numerose. Perciò ha avuto tanti parenti. Qualcuno lo voglio ricordare, innanzitutto le due nonne: la nonna Liliana che lo ha preceduto qualche mese fa andando a fare un picchetto d’onore di famiglia in Paradiso, e la nonna Klara, che è qui, ed ha condiviso fino all’ultimo le ansie e le gioie di Govindo. Gli zii li salto perché sono troppi, così anche i cugini.
Voglio invece spendere due parole sui nipotini di Govindo, i figli dei cugini nati in questi dodici anni e che guardavano questo strano bambino che non cresceva, che restava sempre uguale mentre loro ogni anno diventavano più grandi, che non mangiava per bocca come loro, bensì tramite un tubo, che negli ultimi anni aveva anche un po’ di barba, ma una corporatura più piccola della loro; facevano all’inizio, timorosi, qualche domanda perplessa, poi alla fine Gogo è diventato per tutti una presenza familiare su cui riversavano il loro affetto di bambini.
Da ultimo grazie a mia sorella Margherita e a suo marito Maurizio, a Nicola e Gigina di Gallipoli per essersi assunti davanti alla legge l’impegno di occuparsi di Govindo nel caso della scomparsa dei suoi genitori adottivi.
Govindo ha avuto tante mamme. Quella Celeste l’ho già ringraziata. Voglio qui ringraziare la mamma carnale, che io non conosco. Tu hai abbandonato tuo figlio, sicuramente in preda all’angoscia, non so perché, forse la malattia incurabile, d’altra parte in India con un sistema sociale così diverso dal nostro… forse altro. Sicuramente ti è costato molto. Grazie perché non lo hai soppresso, lo hai dato a chi poteva farlo vivere.
E qui siamo arrivati ad una mamma potente, madre di tantissimi figli, come Madre Teresa. Cara Madre, in questi giorni di intenso dolore in cui ho pregato tanto ed ho chiesto di pregare perché Govindo ci fosse risparmiato mi sono sentito un po’ in conflitto di preghiera con te. Ho infatti avuto il sospetto che tu invece pregassi perché avevi voglia di tornare a giocare con lui come accadeva nell’ultimo anno della tua vita, quando Govindo all’orfanotrofio era diventato un po’ la tua mascotte. E ho immaginato che in Cielo si fosse aperto un arbitrato, quale preghiera deve vincere? Naturalmente non c’è stato nessun arbitrato e le tue preghiere hanno vinto perché tu, Beata, conosci il vero bene delle persone e di Govindo. Un bene che ha come misura l’infinito Bene e che spacca, supera, i criteri umani, anche quelli buoni e sinceri dei nostri affetti più profondi.
Ultima mamma è arrivata Marina, mia moglie. Questa parte della storia di Govindo è iniziata con te, nel novembre di 14 anni fa quando hai incontrato Govindo a Calcutta, dove ti aveva mandato il tuo direttore per un servizio su Madre Teresa. Da uno di quegli slanci del tuo cuore generoso, è fuoriuscito quello sguardo di intesa tra te e Govindo che è all’origine del suo arrivo nella nostra famiglia.
In appendice non posso non ringraziare i miei splendidi figlioli, la vice mamma Maria, la primogenita, che ha accudito il fratellino quando papà e mamma erano al lavoro e le donne erano di riposo; grazie alla assennata Angela che ha avuto l’onere di fare le punture di antibiotico nel corpicino gracile del fratellino in questi ultimi giorni, noi non osavamo, lei ha preso il coraggio a due mani e le ha fatte; grazie a Cristina, che è stata la cantante, la fotografa, lo vestiva per le foto, e quindi è stata modista per Gogo; grazie a Luigi, il compagno prediletto di giochi.
Da ultimo un doppio grazie a te, figlio mio. Mi hai fatto sentire una papà scelto da suo figlio, prescelto, mi hai fatto sentire un papà migliore di quello che ero, non mi hai mai lesinato un sorriso, mi hai sempre cercato con le tue braccia, ti sei sempre avvinghiato al mio collo, anche quando non ero d’umore giusto. Mi hai reso, insieme coi tuoi fratelli, un papà felice. Il secondo grazie te lo preannuncio soltanto. La mia anima così appesantita da peccati, incoerenze, aridità, non può competere con la tua, così pura, limpida, innocente e perciò vicinissima a Dio. Però ho ancora una carta da giocare, sono tuo padre, mi devi l’obbedienza, ti chiedo perciò di aiutarmi a trasformare, d’ora innanzi, questo vuoto che mi annichilisce, che ci annichilisce, in qualcosa di buono, in una nuova forma di quel bene che tanto ci hai regalato. Tu sei un figlio buono e so che lo farai. E io allora verrò a dirti il mio secondo grazie, quello definitivo, di persona, quando Iddio vorrà». 
da Tracce.it

Lettera di Natale ad Asia Bibi

13:44 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

"Hai scritto la letterina a Babbo Natale?" Ho scritto un belin di letterina. In certi momenti le mie origini ligure escono troppo fuori.C'era un servizio prima a un tiggì dove si fermavano i bambini per strada e si chiedeva loro se avessero già scritto al misterioso signor Babbo Natate. I miei genitori non erano gente particolramente di fede, tanto è vero che si sono dimenticati di farmi fare la cresima. L'ho fatta a vent'anni perché se n'era ricordato qualche amico. Però sono cresciuto aspettando che i regali me li portasse Gesù Bambino. Ricordo ancora le notti prima di Natale: non chiudevo occhio pensando che di là in sala c'era un bambinetto in pannolone che mi stava lasciando dei regali. Oggi Gesù Bambino è stato sostituito da Babbo Natale. Anche mia figlia più piccola sta scrivendo la letterina a 'sto coso qui. Glielo insegnano a scuola, nonostante noi genitori cerchiamo di dirle diversamente. Ma la massa, la scuola, incide di più di due genitori. Io mi domando ogni anno perché i non credenti che ormai sono la stragrande maggioranza festeggino il Natale. Perché vadano a massacrasi nello shopping natalizio per poi farsi regali e auguri il giorno di Natale. Non è la vostra festa, anche se ce l'avete rubata facendola diventare "la festa di stagione", holydays season come ci hanno insegnato gli americani. Tantè. I cristiani rompono le scatole eppure si continua a festeggiare il Natale, vorrei sapere perché. Oggi i cristiani sono il gruppo di persone più perseguitato al mondo, oltre 200 milioni di persone che vivono sotto la persecuzioni quotidiana e molti di loro vengono quotidianamente ammazzati. Il fatto è che all'occidente ex cristiano questa cosa non solo non dà fastidio, ma piace pure. Perché i cristiani, come diceva Mario Monicelli "seccano". danno fastidio. Oh, non perché facciano le crociate per imporre la loro fede, questo non si usa più. Le crociate oggi le fanno i media occidentali, ad esempio quella della pedofilia: circa 90 preti sospettati, non condannati, per pedofilia in Germania a fronte di circa 200mila casi conclamati di pedofilia sempre in Germania, ma l'orrore è tutto per la Chiesa. Come quei gentiluomini di Striscia la notizia che invece di andare a denunciare a vescovo e polizia il caso di un prete pedofilo, lo hanno filmato di nascosto, messo in televisione e quindi obbligato a suicidarsi per la vergogna. Questa è la carità dei non credenti, come il direttore di una rivista musicale a tiratura nazionale che su Facebook, alla notizia, ha commentato: "Uno di meno". I cristiano danno fastidio perché ricordano le ragioni fondamentali di cosa voglia dire essere uomini veri e liberi. Stanno lì, in silenzio, a ricordare qual è la nostra vera natura, di essere dipendenti fatti per inseguire il Mistero. Tutte robe che danno fastido, perché costringerebbero a cambiare del tutto il modo di vivere la vita. Vivere la vita? Direi sopravvivere la vita, che oggi l'occidente va avanti a prozac e anti depressivi. Anche i suicidi in diretta online su Internet. Per questo danno fastidio, i cristiani. Il caso della bellissima Asia Bibi, stuprata, arrestata e condannata a morte per nessun motivo se non di essere cristiana nel Pakistan, non solo è ignorato dal mondo occidentale ma - ho letto io su diversi blog e tra le righe die grandi media - è apprezzato. Ho letto che tutti i cristiani dovrebbero fare la sua stessa fine. Scritto da simpatici occidentali con la pancia piena, la faccia immersa negli - inutili - files di Wikileaks, le orecchie nell'ipod e le mani nell'ipad. Sottilmente disperati e annoiati, ma che si fanno gli auguri di Natale. D'altro canto, quando l'arcivescovo della più vasta e importante diocesi del mondo fa un discorso "alla città" ricordando tutte le sofferenze della sua città, dagli immigrati ai disccupati, un discorso che farebbe invidia al leader della CGIL e non cita mai la persecuzione mondiale contro i cristiani, che altro c'è da aspettarsi. Una, mille, centomila Asia Bibi.

Quel vento gelido

08:17 / Pubblicato da Alessandro / commenti (9)

E se fosse tutto vero?

Dovessi restare solo, molto vecchio, affaticato da un cancro e dal tedio di vivere ancora; e se mai accadesse che, ricoverato nel reparto solventi di un ospedale romano, io mi buttassi dal quinto piano e perdessi la vita nella nera malinconia di una giornata di pioggia battente; potrebbe succedere che qualcuno scriva, come per Monicelli, che è stato “lo sberleffo di un laico”. Mandatelo affanculo Ferrara
Il vento dal nulla
Nel terzo film della serie "Amici miei" - quello diretto da Nanni Loy e non da Monicelli - c'è una scena che a suo tempo mi aveva colpito.
Gli amici, per una zingarata, organizzano un viaggio al Circolo Polare Artico. Ed ad un certo momento si trovano davanti l'oscurità fredda, il vento gelido che viene dal Polo. Il presentimento della morte, un nulla che inghiotte senza scampo e sempre più vicino.
Ma si riscuotono, e ripartono verso un altro scherzo pensato per allontanare da sè il pensiero di quel niente ghiacciato. Come aveva fatto il personaggio del Perozzi, nel primo film, con la supercazzola al prete venuto a confessarlo in punto di morte.
Lo scherzo per esorcizzare la paura del niente, la vita fallita. Non prendere niente sul serio.
Questa posizione mi è sempre sembrata un'emerita coglionata.
Se penso alle persone che ammiro, sono quelle che prendono tutto sul serio. Ogni cosa è da prendere seriamente perché ogni cosa vale; vale ed allo stesso tempo non ha valore in sé, perché è l'eterno che fa la sua consistenza.
Che ogni cosa abbia consistenza, sia fatta, sia impastata d'eternità rende possibile anche riderne; ma di un riso che vale, perché è l'allegria di chi sa che ogni cosa è salvata.
L'altro riso è un riso tragico e sarcastico. Che piano si spegne in niente.
Ti trovi vecchio, malato e solo in una grigia giornata di pioggia, con il freddo vento del nulla che ti gela le ossa. Tutte le illusioni cadono, e la realtà nuda ti mostra che da solo non ce la fai.
Puoi riconoscere che quell'eternità negata c'è, che tu e le cose avete un senso. O chiudere gli occhi, ancora, e buttare via l'ultima possibilità. Buttare via la vita, buttarla a quel gelido vento.
(SamizdatOnLine)