40 secondi

20:59 / Pubblicato da Alessandro / commenti (0)

Quaranta secondi per raccontare la storia di un feto che va incontro a una vita difficile, ma alla fine diventa il primo presidente nero degli Stati Uniti. Un’organizzazione cattolica ha scelto un messaggio ad effetto per chiedere a Barack Obama di considerare il «potenziale» di un feto che viene lasciato vivere: un video diffuso su YouTube che in meno di una settimana è stato visto 460mila volte e ha già scatenato 1.400 commenti sul popolare sito web. Il filmato, presentato dall’organizzazione antiabortista CatholicVote.org, mostra un lento zoom su un feto che appare nel grembo materno durante un’ecografia. «Il futuro di questo bambino – è la scritta che appare sullo schermo – è una casa a pezzi. Sarà abbandonato da suo padre. La sua mamma single avrà vita dura a crescerlo» L’immagine del feto lentamente scompare per lasciare spazio a una foto di Obama in trionfo dopo le elezioni.

Con Obama aborto per tutti

Già nel 2007 Barack Obama annunciò che se eletto presidente, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella di firmare il Freedom of Choice Act, la legge sull'aborto. Essa permetterà a tutte le donne di abortire in ogni momento della gravidanza, in qualsiasi Stato e ad ogni età, anche al di sotto dei 18 anni. Inoltre verrebbe eliminata la legge sull'aborto a nascita parziale, che definisce un reato partorire un bambino vivo e ucciderlo alla nascita e la possibilità ai medici di appellarsi all'obiezione di coscienza per rifiutarsi di eseguire aborti. In merito alla legge che regola l’aborto negli Stati Uniti (Supreme Court Roe v. Wade), Obama ha più volte dichiarato, e lo ha scritto anche nelle pagine del sito del Partito democratico di Chicago, che “è la legge più importante per difendere il diritto alla donna di scegliere”. “In tutta la mia carriera - ha sottolineato Obama- sono stato un convinto sostenitore della ‘giustizia riproduttiva’ insieme all’associazione Planned Parenthood e alla NARAL Pro-Choice America”. La Planned Parenthood è la più diffusa e radicale sostenitrice degli aborti e delle politiche antivita negli USA e nel mondo. La NARAL Pro-Choice è l’associazione che ha promosso e sostenuto tutte le battaglie politiche per il libero accesso all’aborto negli Stati Uniti. ”Quando nel South Dakota è passata la legge che impedisce l’aborto – ha spiegato Obama – sono stato l’unico candidato presidenziale ad oppormi”. “Quando le organizzazioni pro-vita hanno cercato di opporsi all’apertura di una clinica per aborti della Planned Parenthood in Illinois, - ha precisato il neo Presidente - sono stato l’unico candidato presidenziale a difendere la Planned Parenthood”. Obama ha ribadito il suo impegno a firmare la legge per il libero aborto “Freedom of Choice Act” ed ha sostenuto vivacemente tutte le campagne di controllo delle nascite, propagandando la diffusione di ogni tipo di contraccettivo. Secondo l’U. S. Census Bureau, l’eventuale attuazione della Freedom of Choice Act” incrementerà il numero di aborti di almeno 125. 000 per anno per anno. Attualmente negli Stati Uniti gli aborti sono 1, 3 milioni ogni anno.

Anche dal punto di vista internazionale le politiche antivita di Obama, preoccupano assai. Con la maggioranza democratica sia la Senato che alla Camera, il neo presidente ricomincerà a fornire ingenti fondi alle associazioni che praticano, aborti, sterilizzazioni e controllo demografico nel mondo. Fondi che l’amministrazione Bush aveva tagliato. La presidenza Obama cambierà anche i rapporti di forza all’interno delle Nazioni Unite. Negli ultimi otto anni l’amministrazione Bush si era opposta a politiche antivita solidarizzando con la Santa Sede. Con Obama, le forze a favore della vita e della famiglia, avranno un avversario in più.

IL SABOTAGGIO DELLA SPERANZA

19:43 / Pubblicato da Alessandro / commenti (2)

Attraverso il suo personale itinerario uno scrittore e giornalista racconta i sogni e le delusioni della generazione del '68 di -John Waters - John Waters è nato a Castlerea, contea di Roscommon, nel 1955. Inizia la carriera di giornalista nel 1981 con “Hot Press”, la più importante rivista di rock'n roll irlandese; alla critica musicale si è aggiunta presto una intensa attività di scrittura su temi di politica, cultura e attualità. Editorialista di “the Irish Time” ha scritto opere per la radio , il teatro e performance di musica e poesia, come The Downing of tha Day”in cui interpreta brani di Patrick Kavanagh accompagnato dalla musica dei Dervish. Recentemente ha inciso con Sinead o'Connor, madre di sua figlia, il cd Baby, let me buy You a Drink” per “Wells for Zoe-Water for life” che finanzia progetti per il reperimento di acqua potabile in Malawi. (.....) Sono nato nel 1955, per cui ho, più o meno, l'età del rock'n' roll. Questo è importante per me, perché sento di aver vissuto in un'epoca in cui stava accadendo qualcosa di coerente, qualcosa con un inizio, una sua metà e , non così lontano nel tempo, una fine , una destinazione fantasma che prometteva la perfetta felicità. L'elemento rock'n' roll non è casuale: dal punto di visto culturale ed ideologico esprime il concetto di libertà approvato dall'umanità occidentale nel corso della mia vita. Il rock'n ' roll ha una sorta di aura di rivoluzione permanente, senza tempo, di sfida a tutto , inclusa la natura stessa. Quarantatre anni fa il gruppo musicale inglese The Who, nel suo inno di rifiuto, cantava “spero di morire prima di diventare vecchio”, trasmettendo la idea di libertà e la mentalità di quell'epoca. La cosa importante era rimanere giovani perché da giovani era possibile evitare di affrontare la questione del significato ultimo. Il problema dell' ”al di là” non si poneva, non solo perché parlando relativamente era lontano, ma anche perché la sua logica si frapponeva fra noi e il raggiungimento della felicità qui ed ora. La giovinezza divenne il centro della cultura che abbiamo creato emergendo dalla rivoluzione degli anni Sessanta. Se ci si potesse autocongelare culturalmente in un determinato momento di tempo , non ci sarebbe bisogno di credere in null'altro che nella propria capacità di essere felici secondo il proprio concetto di felicità. A vent'anni, cinque anni sembravano un' eternità in cui divertirsi ed infrangere tutte le regole imposte dai 'vecchi' per 'ridurre' la libertà. Morire non era tanto andare in un posto migliore, una questione che la cultura rimuoveva, ma risparmiarsi l'umiliazione del decadimento. Lo straordinario è che le generazioni entrate nella sfera pubblica fra la metà degli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta e che oggi controllano le leve del potere nelle nostre società, sono riuscite a perpetuare l'idea del rimanere giovani anche molto tempo dopo la fine della loro giovinezza. Hanno creato una cultura in cui l'essere senza età è fondamentale, sebbene la delusione insita nel carattere di questa aspirazione sia ovvia e inevitabile. Ho fatto parte di queste generazioni, crescendo al centro di questa cultura, profondamente immerso in essa come critico del Rock e come scrittore. Sto cominciando a trovare modi per descrivere in modo autentico questa esperienza,ma non è facile. Perché la cultura era(ed è ) definita dall'etica della 'ribellione' e la morale di tale ribellione era evidente per chiunque vi fosse implicato, è difficile descrivere cosa ho vissuto senza apparire come uno che ha cambiato posizione, che ha tradito l'idea di libertà o , semplicemente, è impazzito. TENTARE DI DESCRIVERE LA REALTA' AL DI FUORI DELLA CAMPANA DI VETRO DELLA CULTURA DOMINANTE SIGNIFICA ASSUMERE LE SEMBIANZE DI UN TRADITORE, DIVENIRE SUBITO REAZIONARIO, il che viene normalmente attribuito alla crisi della mezza età... Potrebbe essere proprio così, ma questa crisi cosa significa se non che il viaggio dell'essere umano su questa terra è definito-fra le altre cose- dalla scoperta graduale del PARADOSSO DEFINITIVO: la mortalità che apre la strada all'eternità? Ora sento che solo di recente ho cominciato a pensare a me stesso per quello che sono veramente e che, fino a poco tempo fa, la cultura dominante cospirava assieme al mio desiderio di rendere razionale il mio sogno di libertà, per impedirmi di parlare della verità su me stesso. Sento che per la maggior parte della mia vita questa 'cultura' è riuscita a bloccarmi o a dissuadermi dal percepire me stesso in maniera autentica. Poiché abbiamo creato una cultura che resta giovane anche se noi invecchiamo, una cultura che istilla in ognuno di noi un senso di alienazione a cui rispondiamo o ritirandoci nella vita privata o oppure stando al gioco e cercando di non perdere la presa della giovinezza più a lungo possibile. Questa 'cultura' nasconde un significato centrale ma nega di farlo. In tutto il suo sproloquiare di promesse non riesce a suggerire una meta ultima, ma, al contempo, sostiene la sua esistenza! (...) In quarant'anni una cultura formatasi in duemila anni è stata ridotta a una cultura in cui la speranza è definita solo dalla prospettiva di qualcosa in più rispetto a ciò che già non è riuscita a fare. La cultura ci dice con insistenza che se abbiamo vissuto solo di chiacchiere e di sensazioni e non siamo soddisfatti è SOLO perché abbiamo fatto le cose in modo sbagliato. Non abbiamo indossato la paccottiglia che essa ci forniva nel modo giusto oppure non ci siamo esercitati abbastanza a vivere appieno le EMOZIONI. E' una questione di 'tecnica' o forse di scarsi 'aiuti chimici'. (...) Poiché le nostre società sono governate da questi malintesi sulla libertà, noi temiamo che se le nostre illusioni venissero messe a nudo non avremmo più nulla per cui vivere, e quindi rifiutiamo di guardare all'orizzonte assoluto della realtà che nelle nostre realtà non è giunto a significare altro che l'orlo dell'abisso, a cui dare occasionalmente una sbirciata con la coda dell'occhio:quando di tanto in tanto, al funerale di un amico o davanti allo sfogo di disperazione di un altro, ci troviamo faccia a faccia con la realtà e distogliamo lo sguardo con sconcerto. In questa cultura la fede è condannata ad avere la funzione di 'consolazione' per quanti 'non sono all'altezza'. In effetti le nostre società vengono costruite per celare allo sguardo la possibilità della coscienza di una dimensione infinita, eterna, assoluta: riceviamo un nuovo 'soffitto' che crea l'illusione che gli esseri umani possano funzionare entro uno spazio autodefinito e persino autocreato! (...) Data la natura superficiale dell'esperienza educativa cristiana da parte delle nostre società , e , dato che la dottrina cattolica ha evidenziato la 'morale' rispetto ad altri aspetti della proposta cristiana, oggi tutti i riferimenti a Cristo tendono ad essere letti nelle nostre culture come banali ammonimenti contro la perdita del Suo amore a causa del peccato:l'idea che nel perdere il contatto con Cristo perdiamo qualcosa di fondamentale per la nostra natura umana, semplicemente non viene espressa... Può anche essere presente nell'intenzione di chi comunica, ma nella nebbia della cultura non si comunica”. (...)

Le ultime gocce di pioggia

11:11 / Pubblicato da Alessandro / commenti (6)

“Le scrivo perché anche oggi entrando a scuola abbiamo respirato un’aria di morte”. Comincia così la lettera che mi ha scritto Marco, 19 anni, di Firenze. “Stanotte una ragazza che frequentava il terzo anno è morta dopo una notte di coma irreversibile. La sera prima stava andando in discoteca, era in macchina con altri ragazzi (…) la macchina si è schiantata contro un albero. La nostra scuola era già stata protagonista di grandi fatti di morte: tre anni fa, una ragazza che frequentava l’ultimo anno si è suicidata gettandosi da una finestra del terzo piano. Può immaginare il clima che abbiamo respirato nei giorni e mesi seguenti... Oggi abbiamo rivissuto quel momento: le facce meste dei professori, i visi persi nel vuoto degli alunni, l’assenza fisica o psicologica dei suoi amici più cari e dei parenti”. Marco è uno studente che frequenta l’ultimo anno di liceo. Fin qui la sua è solo una cronaca consueta, descrive ciò che accade quando la morte visita le nostre giornate e specialmente un luogo di giovinezza come una scuola. Capita che – dopo lo choc di qualche giorno – gli adulti si affrettino a richiudere quella finestra spalancata sull’immenso, sul mistero dell’esistenza, per fingere che la vita sia solo il consueto teatrino in cui ci trasciniamo tristemente a recitare una parte assegnata. Ma i giovani non distolgono facilmente lo sguardo dal Mistero. Infatti è il seguito di questa lettera che più mi ha colpito e commosso. Marco è un avventuriero, assetato di verità e di una felicità che non svanisce in un istante, dunque continua: “Il Signore sta parlando alla mia generazione e lo sta facendo con forza. Ci sta parlando attraverso la sofferenza più estrema, attraverso la morte. Non molto tempo fa altri ragazzi sono morti o rimasti gravemente feriti a causa di incidenti stradali e la loro storia si è dovuta intrecciare obbligatoriamente con la nostra fede di Cristiani. Sto scoprendo sempre di più che questo mondo non può darci niente. Non può darci amicizie vere perché la parola d’ordine del mondo è ‘essere’ e se non sei nessuno o non appari, rimarrai sempre solo. Non può darti la felicità perché non dura più di 30 secondi. Non può darti la consolazione perché la sera quando arrivi a dormire ti ritrovi solo; solo coi tuoi problemi insormontabili, solo perché i tuoi genitori si stanno separando, solo perché nessuno ti ama. Non pensa anche lei che per noi Cristiani sia pronta una nuova missione, cioè quella di ricominciare una nuova evangelizzazione?”. Mi ha colpito leggere queste parole nella lettera di un diciannovenne, di un ragazzo normalissimo, ma che non si fa addomesticare dall’industria del rincoglionimento. Evidentemente Marco ha visto e sperimentato qualcosa di così bello e così grande che non si dissolve davanti al soffio di sorella morte. Questa parola, “evangelizzazione”, indica infatti un volto e un nome, Gesù, che stupisce e commuove, che sui giovani specialmente esercita un fascino più potente perfino della desolazione della morte. E parla al loro cuore assetato di vita, di felicità, di amore. Marco continua: “Tanti Santi hanno viaggiato in tutto il mondo per annunciare Cristo Risorto, ma forse per il nostro tempo è necessario partire, non dall’Africa o dall’Asia, ma da casa nostra, dalla nostra via, dalla nostra parrocchia. E’ necessario far conoscere alla mia generazione che c’è un Dio che li ama, che è arrivato a morire per ognuno di noi, ma che è Risorto e ha distrutto la Morte. Posso assicurarle che queste persone stanno aspettando solo noi. Per grazia divina, i miei genitori sono entrati a far parte del Cammino-Neocatecumenale più di trent’anni fa e questo ha permesso che crescessimo nella fede. Personalmente questo Cammino mi ha permesso di scoprire un Dio che mi ama non per i miei meriti, ma per come sono, soprattutto per i miei peccati, e che vuole solamente curarmi, vuole mostrarmi il suo amore. Nella nostra parrocchia ci siamo ritrovati avanti a tante morti umanamente assurde, ma paradossalmente le famiglie implicate in queste morti hanno risposto con l’Amore… ”. E a questo punto Marco inizia un resoconto sconvolgente di vita quotidiana. In un mondo disperato, dove i media hanno attenzione solo alle misure delle ospiti del Grande Fratello esistono uomini e donne con una certezza e un amore più forti della morte. “Più di otto anni fa il mio amico Niccolò è morto per un tumore al cervelletto. Ha potuto concludere solo le scuole elementari e non ha conosciuto l’età più bella della vita. Nonostante tutte queste assurdità, ciò che mi ha sempre colpito di lui era il sorriso che portava con sé arrivando al catechismo, anche dopo aver fatto la terapia. Dalla sua morte, il nostro gruppo di catechismo ha ricevuto la grazia di restare unito fino ad oggi ed è un vero miracolo, pensando a dove possono essere adesso tanti miei amici. Il suo funerale fu una festa indescrivibile; uno dei suoi fratellini era così eccitato che, quando abbiamo accompagnato il suo corpo al cimitero si è messo a gridare ingenuamente di volerlo raggiungere per poter giocare ancora con lui. Quel funerale colpì tutti i presenti, perché non si era detto Addio a nessuno, si era salutato un fratello che avremmo rivisto. Per la fede dei suoi genitori e per la bellezza e la gioia di quel funerale molte persone si sono interrogate profondamente e forse lo fanno ancora oggi. Quello che colpisce sempre le persone è che i funerali nella mia parrocchia sembrano matrimoni: i canti sono tutti gioiosi e la bara è posta sopra il fonte battesimale, che si trova a terra, perché simboleggia il passaggio dalle acque della morte alla vita nuova. Più recentemente, un ragazzo, Jonatan, è morto cadendo di motorino; una cosa che non posso dimenticare è il volto di sua madre che ci invitava a stare allegri, perché Jonatan era andato in Paradiso. Sul sagrato, un suo amico mi disse che non era meravigliato della risposta di questa madre alla morte del figlio. Mi disse: ‘Loro sono religiosi’. Queste morti sono state per me una dura prova perché mi hanno diviso da tanti affetti, mi hanno messo davanti al fatto che non siamo eterni, che possiamo e dobbiamo morire. Ma ho scoperto che questa morte è stata vinta da Cristo. Egli ha vinto le mie morti. Io sono certo di questo, ma vorrei che questa buona notizia arrivasse a tutti i miei amici, a tutti i miei coetanei che forse non sanno dare un senso alla loro vita; io però sono uno solo e non posso raggiungerli tutti. Chiedo quindi aiuto alla Madre Chiesa, in cui confido perché ho sperimentato che è davvero madre, che mi dona il perdono e che davvero da essa passa la mia salvezza”. Marco mi scrive il suo accorato appello alle parrocchie della sua città (come rispondono sacerdoti e vescovi?), le invita ad aprirsi ai movimenti perché so che è difficile vivere da Cristiani senza una piccola comunità che ti aiuta, che ti ascolta, che ti corregge, in cui sperimenti il perdono, in cui c’è Cristo… Esorto tutte le parrocchie fiorentine ad aprire le porte a Cristo in queste nuove forme, perché i giovani sono per strada a drogarsi, a bere, senza genitori, senza Amore. La loro vita non ha un senso e noi che siamo il sale del mondo abbiamo il dovere di annunciare loro che Cristo li ama e che possono cominciare a sorridere, possono smettere di fingere, possono piangere senza paura di essere giudicati ‘deboli’, possono scoprire amicizie vere fondate sull’Amore di Cristo. Questi ragazzi hanno il diritto di sapere che rivedranno i loro amici in Paradiso e che non c’è morte che possa dividerci, c’è solo Cristo che ci unisce all’altro”. Non è una cosa dell’altro mondo? Don Giussani diceva che il cristianesimo “è letteralmente una cosa dell’altro mondo in questo mondo”. In effetti il Paradiso inizia già qui, come il sorriso che si apre nelle lacrime e alla fine prende il sopravvento. Come il sole quando spalanca le nuvole e illumina le ultime gocce di pioggia portando finalmente l’azzurro. Antonio Socci

Racconto breve

11:17 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

di Massimo Camisasca Anche solo parlare di quel viaggio era costato a Romeo, giovane insegnante di Liceo, una grossa litigata in casa, una semirottura con la sua donna. I bambini, poi, l'avevano preso per matto. Ma non aveva desistito. Se non ci volevano venire loro, ci sarebbe andato da solo. E così fu. Prima l'auto fino all'aeroporto, poi, l'aereo e infine la corriera. Solo l'Australia è più lontana. Perché aveva deciso di andare in Cile, oltre le Ande. Il Cile offre tutto: montagne altissime e inesplorate,tempestose onde dell'Oceano,immense distese di neve al sud, in Patagonia. Lui aveva scelto il deserto del Nord. Voleva raggiungere un osservatorio astronomico, uno dei più importanti del mondo, ora che si era capito che lì l'aria era pulita e rarefatta come in pochi posti della terra. Dato che nessuno aveva voluto accompagnarlo, il telescopio fu il suo compagno dell'estate: scoprì stelle nuove, mondi che aveva sognato per tutta la vita. Ne fece anche fotografie nitidissime! La sua vita era stata presa da tre amori, tutti e tre infiniti. Il primo era stato il mare,un infinito che, per lui, si apriva sotto la porta di casa: Romeo abitava a Sorrento e gli bastava affacciarsi al balcone per domandarsi: dove andrà a finire? E quanti pesce conterrà il mare? Sono più numerosi degli abitanti della Terra? E di quanto? L'altro infinito era il volto della sua donna: in esso si specchiavano il cielo e il mare. Il terzo era, appunto, il cielo. Qualche volta, d'estate in montagna, o in inverno, durante giornate particolarmente limpide e fredde, si era scoperto col naso allinsù a guardare la via lattea, perduto nella vertigine di quelle distanze o, forse, del proprio essere al centro dell'incommensurabile. Da allora aveva voluto studiare le stelle: giorni e giorni di lavoro, quattro settimane (non aveva altri giorni di vacanza!) per vedere cose già viste da altri... Quando, alla fine, però, unì tutti i punti delle stelle che aveva a sua volta scoperto, trovò...che formavano il nome della donna che aveva lasciato! “Si va lontano, ma sempre per tornare”, commentò. Ma da quell'estate, la più importante della sua vita, ogni anno cercò un telescopio: per formare con le stelle le parole che contano.

L'uomo della Provvidenza?

12:12 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

È stato un discorso, quello che Barack Obama ha tenuto ieri durante la cerimonia del giuramento come nuovo presidente degli Stati Uniti, piuttosto deludente in termini di grandi frasi, epici passaggi, forte ispirazione. Niente di più lontano dai toni di JFK, a cui viene paragonato spesso, ma anche a quelli formidabili che usò Ronald Reagan. Eppure Obama è ormai ufficialmente “l’uomo della Provvidenza”, a sentire i toni trionfalistici di certi giornalisti di casa nostra ieri ai vari tg. Non solo risolverà la crisi economica, porrà termine a ogni guerra ma, sembra, ci metterà anche al salvo dalla epidemia di influenza australiana e dal mal di denti. Quello che è curioso, visto il contenuto alquanto terra-terra del suo discorso e del suo atteggiamento generale, freddo, programmatico, da uomo pratico, che l’unico a non sentirsi, tale, l’uomo che salverà il pianeta terra, sia proprio lui, Obama. Ma tutti vogliono che sia così. Il concertone rock del giorno prima, ad esempio, ha visto Bruce Springsteen circondarsi di un imponente coro gospel e finanche dell’anziano Pete Seeger, l’ex comunista americano amico di Woody Guthrie, quasi a voler a tutti i costi imprimere un qualcosa di epocale a un momento storico che di epocale ha poi avuto ben poco. Ci hanno pensato gli U2 e Jon Bon Jovi a far scadere tutto nell’entertainment da Hollywod rock. C’è stata una parte del discorso di Obama che però è sfuggita a molti, ignorata da quasi tutti – allucinante la censura e la distorsione di altre frasi dette da Barack che ha fatto oggi la Repubblica, ad esempio –, quando ha detto "We will not apologize for our way of life, nor will we waver in its defense, and for those who seek to advance their aims by inducing terror and slaughtering innocents, we say to you now that our spirit is stronger and cannot be broken; you cannot outlast us, and we will defeat you" (“Non chiediamo scusa per il nostro modello di vita, né ondeggeremo nel difenderlo, e per coloro che cercano di portare avanti le loro richieste con il terrore e con il massacro degli innocenti, a voi diciamo che il nostro spirito è ancora più forte e non potrà essere spezzato; non ci sconfiggerete, saremo noi a farlo”). Ignorato da tutti, perché Obama ha saputo riconoscere quella che è la realtà: qualcuno, parte del mondo islamico, odia il nostro stile di vita e lo vuole distruggere. E il nostro stile di vita è basato sulla libertà. E noi non chiediamo scusa per essere uomini liberi. Avrebbe potuto dirlo George W. Bush, anzi lo ha sempre detto. Per cui Obama ci sembra, alla fine, più realista dei suoi sostenitori. Consapevole che la Provvidenza è un dono, non la inventiamo noi con le nostre buone intenzioni.

In buone mani.

10:17 / Pubblicato da Alessandro / commenti (0)

Domenica, Benedetto XVI ha battezzato dei bambini. «Ne sono veramente contento», ha detto, con una semplicità che si è fatta, nell'austerità della Sistina, linguaggio familiare. E felici erano quelle madri, quei padri, che si vedevano battezzato dal Papa il proprio figlio: l'eco di quella gioia l'avevano scritto sulla faccia, e negli sguardi commossi e umanamente orgogliosi, fissi sul 'loro' bambino. Ma a queste madri, e padri, e a tutti gli altri padri e madri, Benedetto XVI ha detto una cosa importante, anzi fondamentale: «Il bambino non è proprietà dei genitori, ma è affidato dal Creatore alla loro responsabilità, liberamente e in modo sempre nuovo, affinché essi lo aiutino ad essere un libero figlio di Dio». Questi figli, ha detto dunque il Papa, non sono 'vostri'. Affermazione non nuova, eppure per niente scontata in un tempo in cui di figli se ne hanno pochi, e su quei pochi, o quell'unico, si concentrano aspettative, e possesso. Provate a immaginare di dire a una coppia in contemplazione estatica del proprio primogenito davanti alla nursery di un ospedale: questo figlio, non vi appartiene. Come, non ci appartiene? – obietterebbero in molti. Ma se ci somiglia così tanto, anzi, è identico a suo padre; ma se l'abbiamo voluto, e anzi programmato, e lo chiameremo come il nostro calciatore preferito – che bello, se gli somigliasse. Cosa significa, che questo figlio non è 'nostro'? Significa appunto che è di un altro, dice il Papa, fedele alla più antica tradizione cristiana: «Il battesimo è questo: restituiamo a Dio ciò che da Lui è venuto». Ciò che non ci può appartenere, in quanto non l'abbiamo fatto noi. E questo lo sanno più istintivamente le donne, o almeno quelle non totalmente distratte. Che quando sono incinte, e quando poi avvertono in sé i primi movimenti del bambino, hanno un istante di naturale stupore, al manifestarsi di quella vita spuntata da due infinitesimali cellule. E spesso, se si fermano a pensare, tremano: si sta formando il suo cervello, il suo cuore, e io non so neppure lontanamente come. La coscienza di questa abissale inadeguatezza oggi si declina facilmente in un'ansia: superesami, supercontrolli, ecografie continue a spiare, sospettose di 'difetti', il buio uterino. È il principio del possesso: 'nostro figlio', deve essere perfetto. È la propria pretesa sullo sconosciuto misteriosamente in arrivo. E d'altra parte, come liberarsi dalla paura, se nessuna scienza può davvero garantirci la piena salute di un figlio? La risposta per i cristiani sta proprio nella certezza che i figli appartengono a Dio. Che chi li ha suscitati dal nulla ne è il vero padre, colui che prima che la madre li concepisse già li conosceva, come dice un salmo. Un Dio padre che trae i suoi figli dentro un disegno buono, anche nella più estrema drammaticità. Questo 'altro' padre tacitamente presente è il punto di equilibrio fra la possessività viscerale che fa dei figli cose proprie, e l'abbandono alle pure istintive inclinazioni di quei figli cresciuti – in molti da trent'anni a questa parte – come senza alcun padre. Tra questi due estremi, di cui oggi vediamo ogni giorno esempi che smarriscono nelle cronache dei giornali, il Papa ricorda una antica terza via: «affidare i figli alla bontà di Dio», e insegnare loro a chiamarlo Padre. Come un allargarsi del cielo sulle nostre preoccupazioni: cosa farà, dove andrà, chi diventerà. Come nelle parole di quel contadino di Charles Peguy, disperato perché i suoi bambini erano malati: che decide affidarli, anzi di metterli fra le braccia della Madonna, perché in realtà sono figli 'suoi'. E se ne va poi sgravato da una troppo grande angoscia: comunque certo ora, per quei figli, di un destino buono. Marina C.

-12 gennaio 2009- 50° compleanno di un'amica

20:32 / Pubblicato da Alessandro / commenti (3)

(Luisa è quella a destra!.....a sinistra il Presidente l'Ass. AMICI di SIMONE)
Il 12 gennaio 2009 la nostra amica Luisa ha compiuto 50 anni. Per chi la conosce questa tappa arriva un po' imprevista perché non li dimostra affatto e non sembra vero che abbia proprio mezzo secolo!
(Durante la festa a sorpresa...)
Non è facile raccontare di lei a chi non ne sa nulla, ci sono davvero troppe cose da dire e non si sa dove iniziare. Potremmo dire che è una di quelle persone che se non ci fosse, il mondo non sarebbe lo stesso. Quando arriva te ne accorgi subito e quando non c'è si sente che manca. Sono molti i doni che il Signore le ha fatto: la simpatia, l'intelligenza, l'ironia, la chiarezza del pensiero e del giudizio, la sensibilità, la certezza della fede, per citarne solo alcune. E di tutte queste robe ce n'é tante che possono goderne tutti coloro che sono disposti a fare i conti con la sua "straripante" persona. Prendere o lasciare! I suoi tanti amici le vogliono proprio bene e hanno deciso di prendere! Grazie a Dio di avercela data per questi primi 50 anni! Che tu possa sempre avere fame di Lui, che tu possa essere per sempre giovane!
-Forever Young- Per sempre giovane Che Dio ti benedica e custodisca sempre, possano i tuoi desideri tutti avverarsi, possa tu sempre aiutare gli altri e lasciare gli altri aiutare te. Possa tu costruire una scala fino alle stelle e salirvi gradino per gradino, possa tu rimanere per sempre giovane. Sempre giovane, sempre giovane, possa tu rimanere per sempre giovane. Possa tu crescere e diventare onesto, possa tu crescere e diventar sincero, possa tu sempre conoscere la verità e vedere la luce intorno a te. Possa tu sempre essere coraggioso e stare ben dritto in piedi con la testa alta, possa tu rimanere per sempre giovane. Sempre giovane, sempre giovane, possa tu rimanere per sempre giovane. Possano le tue mani sempre essere impegnate, possano i tuoi piedi sempre essere veloci, possa tu avere una base solida quando il vento dei cambiamenti soffia. Possa il tuo cuore sempre essere gioioso, possa la tua canzone sempre essere cantata, possa tu rimanere per sempre giovane. Sempre giovane, sempre giovane, possa tu rimanere per sempre giovane.

Black Dog

13:59 / Pubblicato da Alessandro / commenti (4)

In onore dello scienziato inglese Charles Darwin (nato 200 anni fa nel 1809) i suoi fedeli (atei incalliti) hanno sponsorizzato una pubblicità sugli autobus uscita in questi giorni in Inghilterra. Dice: "Probabilmente Dio non esiste.Quindi smettete di preoccuparvi. Divertitevi." Personalmente, trovo quello slogannon solo deprimente ma terrificante. Non sono né credente né ateo ma agnostico ma non mi fa divertire per niente l'idea che Dio non esista. Anzi. Ho,ho,ho! Brindiamo! Dio non c'è. Ci siamo solo noi e il nulla! Che bella cosa! Che altro vogliamo dalla vita? Vi chiedo: se Dio non c'è, c'è solo l'abisso,no? Quindi, non c'è Paradiso né Inferno, figuriamoci Limbo. Solo il nulla.Sei nato, fai il cretino, muori. Poi basta.Vieni dal nulla e finisci nel nulla. Mi ricordo bene il preciso momento in cui, con pensieri simili in testa, sono diventato un depresso maniacale a tempo indeterminato. Insomma, quel momento in cui mi ha beccato, e per la prima volta nella mia vita, quell'afflizione chiamata da Churchill il "black dog", il cane nero. Era l'estate del 1979. Mi trovavo sulla piccola e bella isola greca di Paros. Avevo 19 anni. Davanti a me avevo un anno di studio a Cambridge prima di laurearmi in storia e filosofia. E quella sera davanti a me c'era quel panorama magico sull'isola greca. Ero in cima a una collina e guardavo il tramonto (il sole, il mare, i tetti bianchi) con accanto a me il mio carissimo amico Neil. In silenzio totale. Avevamo pochi soldi ma eravamo felici perché giovani e immortali. La bellezza della scena era micidiale. Come lo era il silenzio. E così, improvvisamente, mi ha colpito un senso di malessere. Stavo male, molto male. Non fisicamente, anzi. All'epoca ero molto sportivo con un fisico eccezionale. Mentalmente neanche. Ero molto intelligente. Uno dei più bravi in tutto il regno di sua Maestà. Ma no...Mi ha infestato, in quel momento davanti a quella bellezza strepitosa e silenziosa, qualcosa di molto peggio,qualcosa insomma al di là della noia e della disperazione. Prima di quel momento ero un ragazzo felice; dopo un ragazzo fottuto. Mi sono reso conto della mia mortalità. Cioè: visto che Dio non c'é quando muoio neanche io ci sono. Poi, guardavo incantato le stelle sopra Paros e lo spazio infinito e pensavo:dove inizia lo spazio e dove finisce? Stavo malissimo: niente è valido, pensavo, niente. Niente ha un senso. E da quel momento, ogni secondo della vita quotidiana è diventato un incubo. Facevo fatica a lavarmi i denti o farmi la barba. La laurea? Appunto. Il lavoro? Chi se ne frega. Poi - un anno dopo - mi sono innamorato e l'amore mi ha salvato. Il mio amore per quella ragazza (barese) era più forte della mia depressione esistenziale. Sono stato ferito proprio dentro, dove conta, però.La cicatrice rimane.Non sono mai andato da uno psichiatra o un prete per chiedere aiuto. E non ho mai preso le pastiglie. Ho affrontato l'abisso spazio-temporale e la mia crisi esistenziale da solo, con in mano un bicchiere di sangiovese e nell'altra una sigaretta. Ma se guardo i miei quattro bambini (dai 5 anni in giù) piango dentro. Guardo, ad esempio, la mia Caterina (5 anni) birichina,bellissima, monella,strapiena di vita e di passione. E penso: sai Caterina, un giorno toccherà anche a te vedere e sentire quello che ho visto e sentito quel giorno su quell'isola greca nell'estate del 1979.E mi sento in colpa. Mi castigo. Soffro. Tanto. Come mi sono permesso di creare dei bambini costretti a vivere in questo mondo del cazzo?Un mondo dove,come insistono i fedeli di Darwin:" Probabilmente Dio non esiste.Quindi smettete di preoccuparvi. Divertitevi." Che mi sembra un nonsenso. Se Dio c'é, un senso c'é. Se Dio non c'é, no. C'è solo l'abisso, la noia, e il nulla.Non capisco però questo conflitto fra Chiesa e Scienza. La scienza non ha mai scoperto niente che smentisce l'esistenza di Dio. Neanche Galileo,neanche Darwin,neanche Einstein...Quindi non capisco questa mossa degli eredi non credenti di Darwin di mettere sugli autobus inglesi una pubblicità che dice:"Dio non c'é,quindi divertitevi". Perché ce l'hanno con Dio? Se Lui non esiste, come dicono loro, non c'é niente da ridere. Anzi. Nicholas Farrell

Gli ultimi giorni del mondo?

15:57 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (2)

Ai tempi della Guerra Fredda, circolava la battuta che un giorno i cavalli dell'Armata Rossa si sarebbero abbeverati nella fontana di piazza San Pietro a Roma. Quel giorno grazie a Dio non si è avverato mai. Sabato scorso mi trovavo per puro caso, per incontrare alcuni amici, in Piazza Duomo a Milano, dopo San Pietro il luogo più importante della cristianità italiana e dunque d'Europa. Poche centinaia di manifestanti filo-palestinesi, forse un migliaio, mi sfilano davanti. Raggiungono il sagrato del Duomo, improvvisamente si lanciano di corsa verso i portoni spalancati, come sempre, per i tanti turisti e pellegrini che visitano la chiesa ogni giorno. Rimango scioccato, incapace al momento di realizzare cosa stia succedendo, dalla visione di quei corpi urlanti al grido di "Israele assassino" e bandiere al vento, una massa compatta che improvvisamente sembra fatta di decine di migliaia di corpi che - adesso lo capisco - sta cercando di entrare in Duomo. Il mio Duomo, il nostro Duomo di Milano. La polizia scatta, fa cordone immediato, i portoni vengono piano piano rinchiusi. La folla urlante si ferma a pochi metri. È una visione che sa di apocalisse, di ultimi giorni del mondo. Intorno, migliaia di milanesi osservano incuranti, muovendosi veloci nel primo giorno dei grandi saldi verso la vicina Rinascente. L'amica che è con me, di sinistra, molto di sinistra, osserva scuotendo il capo: "Dovrei essere dalla loro parte, come dice il mio partito. Ma ho paura, questa gente mi fa paura". Bloccati lì fuori, trasformeranno il sagrato della chiesa in una moschea a cielo aperto. Non era mai successo prima l'occupazione violenta dei luoghi della cristianità. Viene da ridere cosa succederebbe se un cristiano facesse qualcosa di simile in un paese musulmano. Lì, i cristiani li ammazzano comunque, come in Turchia, come in Iraq. La stessa cosa accade a Bologna, davanti a San Petronio. Migliaia di musulmani impediscono l'uso delle nostre chiese ai cristiani. Nell'indifferenza generale, dei mass media, dei giornali laici e laicisti, che nei giorni scorsi hanno inneggiato al giornalista iracheno che lanciò le scarpe a Bush, definito eroe della libertà ed eletto capo del movimento pacifista italiano proprio in questi giorni, ignorando volutamente che quel personaggio è schierato apertamente per la fazione più assassina e violenta degli sciti iracheni spalleggiati dagli iraniani. Angoscia e paura. Mentre in Palestina si muore e solo la voce del Papa si alza, come sempre, forte contro la guerra. Valgono allora le parole di uno dei pochi giornali italiani che ha parlato della vicenda, Il Giornale: Ed è di questo che abbiamo paura. Non dei musulmani, la cui aggressività in tutto il mondo è piuttosto, probabilmente, un segno di debolezza e di declino. Abbiamo paura dell’ignavia, della viltà, dei contorcimenti mentali di un Occidente che soffre di infiniti complessi e sensi di colpa. Di un mondo che per non offendere i musulmani cancella i presepi, i riferimenti a Gesù nelle canzoni di Natale e il prosciutto dalla mensa dell’asilo: ma che non ha nulla da eccepire se il Duomo è costretto a chiudere. Che cosa avremmo letto sui nostri giornali se quattro cattolici tradizionalisti fossero andati a pregare davanti alla moschea di Segrate? È il nulla dell’Occidente che spaventa. Il vuoto pneumatico di valori e ideali che lascia campo libero a chi, invece, si nutre di un pensiero forte e di uno spirito di conquista. Non ce ne frega nulla di rinunciare al presepe perché al Natale non crediamo più, così come non crediamo più in niente: né in una filosofia che non sia quella del godersi la vita, né in una morale che non sia quella del secondo me. L’Occidente tace, di fronte all’avanzata dell’islam, perché non ha niente da dire: la stessa Chiesa sembra spesso rinunciare, per paura chissà di che, ad essere se stessa. C’è chi dice che proprio questo nulla ci salverà dall’islam. Che i musulmani saranno alla fine sconfitti, più che da quel che resta dei nostri valori, dall’effetto contagioso dei nostri vizi. È probabile che finirà così. Ma non prima di uno scontro che sarà tutt’altro che breve e indolore.

Com'è bello il mondo! E com'è grande Dio!

20:15 / Pubblicato da Alessandro / commenti (1)

...Era ancora buio, quel giorno, solo all’orizzonte si poteva cogliere qualche segno dell’aurora. Uscì di casa tenuto per mano dalla madre per andare con lei alla prima messa. E la donna, una povera madre intrisa di sapienza cristiana, in quell’immenso silenzio della campagna lombarda, se ne uscì con un’esclamazione spontanea che si scolpì letteralmente nel cuore del bambino: “Com’è bello il mondo! E com’è grande Dio!”. In quella voce dal sen fuggita c’è tutta la bellezza dello sguardo cristiano sul creato e sulla storia. Grazie a lui, in questa notte ancora fredda e pungente d’inizio millennio, che fa intravedere le luci dell’aurora, perfino noi abbiamo imparato ad accorgerci quanto è bello il mondo e come è grande Dio, com’è immenso il Suo operare, come sono commoventi i segni della Sua presenza fra noi, nella vita dei mortali. Abbiamo sperimentato così una gratitudine che scoppia dentro al cuore...