Trenta anni fa, oggi

19:02 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (3)

Oggi, festa di San Fortunato. Con alcuni amici qualche sera fa ci siamo trovati a mettere insieme vecchie foto ingiallite dal tempo, frasi, ricordi. Abbiamo messo su una piccola mostra per ricordare Don Giorgio, che se n'è andato da questo mondo il 19 ottobre. Per ricordare non solo lui in realtà, ma quel popolo che dall'amicizia con lui è nato ed è cresciuto. La mostra l'abbiamo portata giù alla festa di San Fortunato, che è anche la festa della parrocchia in cui io mi sono ritrovato quando sono venuto a vivere a Milano, e di cui Don Giorgio fu vice parroco dal 1970 al 1984. Trenta anni fa esatti,il giorno prima della festa di San Fortunato del 1979, con altri due amici di cui ho perso le traccia da un sacco di anni, prendevo il treno da Chiavari, la mia città, per andare a Milano per la prima volta. Mia sorella mi aveva invitato a partecipare alla festa di San Fortunato o meglio, la festa della Fontana, come era diventata famosa. La Fontana, la comunità che mi avrebbe accolto qualche anno dopo a Milano. Era un evento, quella festa, di cui si parlava in tutta Milano e anche oltre, grazie allo spirito con cui alcuni di quella comunità avevano creato un formidabile luogo di incontro. Ci partecipavano migliaia di persone. Quella sera di quel freddo giorno di 30 anni fa, dopo i vespri, mi presentarono quel sacerdote, Don Giorgio. Corpulento, aggressivo, la stretta di mano incandescente. Mi sono sempre trovato in difficoltà davanti ai preti: mi hanno sempre dato l'impressione di vederti attraverso, di conoscere e sapere in partenza tutto di te, anche le balle che invece ad amici, fidanzate, mogli sappiano contare su così bene. Naturalmente non è così e non mi succede con tutti i preti, ma con lui fu così dal primo istante. Così come mi è sempre successo con Don Pino. Conosciuti e voluti bene a prescindere. Tre o quattro anni dopo la mia vita sarebbe diventata quella della comunità della Fontana. Ma Don Giorgio se ne stava andando, chiamato a fare il rettore di una nuova scuola che stava nascendo proprio in quei giorni,il Sacro Cuore. Così che io a lui non l'ho mai frequentato molto. Qualche incontro fugace, lui quasi sempre su di un palco a parlare, oppure dopo una partita a pallone in cui ci guardava giocare e ci dava dei coglioni buoni a nulla, lui che se non fosse stato per un incidente di gioco da ragazzo stava per essere chiamato in serie A. E darti del coglione era per lui dirti che ti voleva bene. Lui era fatto così.Quanta gente ha fatto incazzare. Ma ti costringerva sempre al confronto. Rimase la guida spirituale della nostra comunità, e quando con un paio di amici decidemmo che era l'ora di mettere su un gruppo di fraternità, andammo da lui a chiedere il suo parere. Ci diede l'ok,eravamo tutti sul punto di sposarci, era l'ora disse lui. Poi volle incontrarci tutti , una sera. Ci disse poche parole, franche e realiste come sempre. "Mica vi mettete insieme a fare la fraternità per chissà cosa, se non Gesù Cristo. Mica vi state sposando per chissà cosa. Fra tre mesi vostra moglie comincerà a lamentarsi che vi puzzano i piedi, cosa pensate che sia il matrimonio". Ecco, lui era così. Niente balle, niente sentimentalismo. Mica ti vai a sposare perché hai trovato il grande amore della tua vita, coglione. Oggi, quasi vent'anni dopo, ricordo ancora quelle parole e com'erano vere: vent'anni dopo quel gruppetto di fraternità è ancora un gruppetto di coglioni che sbanda e risbanda da tutte le parti. E non siamo diventati bravi mariti e brave mogli. Macché. Ci tiene insieme solo Gesù Cristo. Quando ci ricordiamo. Don Giorgio lo vedevo tutte le mattine quando mia figlia più grande cominciò ad andare anche lei a scuola al Sacro Cyore. Freddo, sole, pioggia o vento, ogni santa mattina era lì in piedi davanti alle porte che aspettava che entrasse ogni singolo ragazzo e ragazza, ed erano centinaia. Li salutava uno per uno, tutti. Non ne perdeva uno. Qualche volta mi fermavo a dirgli due parole, gli ricordavo il nostro gruppetto di fraternità e quando sarebbe venuto a trovarci ancora. "L'anno prossimo vado in pensione" mi disse. "Vedrai che troverò il tempo". Invece no. Una sera, poche settimane dopo che era morto il Giuss, ero a cena con alcuni della diaconia lì da lui, al Sacro Cuore. Dopo che il Giuss se n'era andato lui, Don Giorgio, era cambiato parecchio. Sembrava trasfigurato. Parlava e citava il Giuss continuamente. Era diventato il suo termine di paragone per ogni singola parola e azione. Il suo sguardo si perdeva in un oltre che a noi non era dato percepire. Ricordo davanti al suo piatto una tazzina piena di pillole di ogni colore, ne mandava giù in continuazione, dopo essere stato operato al cuore poco tempo prima. L'ultima volta che l'ho visto, a una assemblea, due anni fa, mi ero alzato per dire alcune cose. Corbellerie più che altro. Gli avevo anche raccontato di come, portando mia figlia a scuola ogni mattina, anche se non ne avevo voglia, anche se morivo di sonno, anche se mia figlia mi aveva già fatto girare le balle, mi sforzavo a dire con lei l'angelus, perché mi costringeva a uscire da me per impattarmi a una realtà più grande. Così succedeva gni mattina. Lui cazziò parte del mio intervento, ma di quella cosa dell'angelus mi ringraziò: "E' proprio così Paolino". disse. "Anche io certe sere sono così stanco che non vorrei neppure pregare. Eppure farlo apre il cuore alla realtà, quella vera, in cui anche la stanchezza o l'incazzatura vengono accolte e facendo ciò cambia la realtà". Oggi, festa di San Fortunato, 30 anni dopo. C'è un filo rosso misterioso, che attraversa le nostre sistenze. No, non ci rende più bravi, mariti e mogli migliori. Solo, ed è quello che conta, attraverso gli incontri di carne e sangue ci indica qual è il nostro destino. Ogni cosa parla di Lui. Ogni persona, ogni stretta di mano, indica quel Mistero che ci attende, con pazienza infinita. Ogni momento non è perduto, anche e nonostante la nostra miseria.

God is in the house

14:19 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

"Io sono un acchiappa anime per conto di Dio" disse una volta Nick Cave. Ieri sera, al Teatro Dal Verme di Milano, il cantante, musicista e scrittore australiano deve averne acchiappate di anime. Come sempre d'altro canto quando lui sale su di un palco. Anche l'amica seduta al mio fianco, che di solito non ci pensa granché, a Dio, me lo conferma: "Mentre cantava non potevo fare a meno di pensare a Dio". "La canzone d'amore è la luce di Dio, giù nel profondo, che si fa largo tra le nostre ferite. Alla fine la canzone d'amore esiste per riempire, con il linguaggio, il silenzio tra noi stessi e Dio", ha detto ancora Cave. Venuto per presentare il suo nuovo romanzo, La morte di Bunny Munro, dissacrante, provocatorio, a tratti osceno (come mel suo stile) racconto di un commesso viaggiatore la cui unica ossessione è il sesso e il tradimento continuo chene consegue, tanto da spingere la moglie al suicidio per la disperazione, il cantante ne ha eseguite di canzoni d'amore, seduto da solo al pianoforte, creando quella tensione emotiva così palpabile come lui solo sa fare: Are You The One That I've Been Waiting For, Love Letter, Lucy, Into My Arms, Lime Tree Arbor, The Weeping Song. Scatenandosi poi in piedi le mani rivolte al cielo come un predicatore folle del vecchio West, nel suo elegante completo gessato e gli anelli d'oro che brillavano alle dita, nei rituali voodoo di Red Right Hand, Dig Lazarus Dig (la resurrezione ambientata tra le strade di New York), Tupelo e Grinderman, contemplando infine la misericordia sul condannato a morte di The Mercy Seat. Così come le sue canzoni, anche il suo romanzo nonostante i temi scabrosi è un viaggio verso la redenzione, che si compie nel sacrificio del protagonista, accompagnato solo dal figlio che lo ama di un amore gratuito e dalla presenza misericordiosa del fantasma della moglie. Mentre, intorno a lui, un inquietante personaggio vestito da demonio - quasi a ricordargli il suo peccato - compie gesta sanguinose, incalzandolo sempre più vicino. E' la vita, e Nick cave ne sa una cosa o due. La vita sempre in bilico tra peccato e possibilità di redenzione. Realtà dell'uomo, innegabile e impossibile a mani d'uomo da risolvere. Ma c'è una possibilità. Lui lo sa, ce lo dice quando esegue quasi fossimo in una chiesa abbandonata dalla maggioranza degli uomini, ultimi sopravvissuti all'apocalisse dei tempi moderni, la commovente e sussurata God is in the House, Dio c'è, qui. "In ogni mia parola e in tutto quello che so, c'è una mano che mi protegge"

Uomini. E donne. Donne e bambini. E uomini.

08:24 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (3)


Uomini. E donne. Donne e bambini. E uomini. Storie diversissime che si intrecciano dietro a un pallone, correndo scivolando cercando di mettere quella palla in rete. E donne dietro la rete e bambini che guardano i loro uomini, i padri e gli amici. C'è anche un prete in quel campetto, ma non lo diresti mai con quella maglia nerazzurra con il nome di un (bravo) giocatore dell'Atalanta sulle spalle. Non lo diresti mai perché non perde un secondo di quello che succede in campo, anche quando è il suo turno di stare fuori. Non va in giro a fare sermoni. Perché siamo lì per giocare al pallone e l'esperienza è quello che accade, ora e qui. Non quello che è stato con gli errori quotidiani che abbiamo fatto o i castelli di sabbia che costruiamo sul nostro futuro. Dopo, il prete parlerà anche, ma adesso gioca e osserva. "Gesù gli disse: 'Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo'". Lo diceva il Vangelo di domenica, neanche a farlo apposta il giorno dopo che si è giocato il triangolare di calcio tra detenuti, guardie del penitenziario e amici di Simone. No, nessuno è buono, e se lo diceva Gesù di se stesso, lui che buono lo era davvero, figuriamoci come siamo stupidi noi quando crediamo di esserlo, buoni. Sabato 10 ottobre su quel campetto non c'erano buoni e cattivi, furbi e incapaci. C'erano uomini, con le loro storie, sbagliate, giuste, dolorose o fortunate. Chi se ne importa. Adesso, perché quello che conta è adesso - l'esperienza - c'è gente che liberamente sta testimoniando, tutta, un fatto accaduto. E' accaduto un fatto altrimenti nessuno di loro sarebbe qui ora. "C'è un Fatto, c'è e non ce n'è" come dice l'amico Carròn. Il Fatto si impone, come oggi, basta guardare tutta questa gente accorsa qui. E' un fatto che viene da lontano, è un fatto che persiste, nell'esperienza: è quel filo rosso che un pomeriggio di inverno di alcuni mesi fa ha fatto incontrare alcuni di loro, detenuti con il permesso di uscire alcune ore, con gli amici di Simone. Il filo rosso si è dipanato nei mesi e nei giorni successivi e alcuni di loro sono cambiati. Tutti, detenuti e amici di Simone, sono cambiati e stanno cambiando perché a quel fatto che si è imposto a loro, senza che loro lo avessero neanche mai immaginato, ci sono stati. La mamma di Simone viene chiamata a ritirare la coppa che la squadra de gli Amici di Simone ha vinto. Ecco, quando lei prende quella coppa quel filo rosso che si dipana da un tempo immemorabile, un tempo che non ci appartiene, appare evidente a tutti. Perché è Simone che ha messo in moto tutta questa cosa. E' da lui che è partito tutto perché è lui che opera, dal cielo. Da quel pomeriggio che è accaduto l'incontro fra alcuni detenuti e gli Amici. Poi alcuni hanno preso sul serio questa cosa e fatti miracolosi sono accaduti e accadono. Ma senza Simone nulla sarebbe accaduto, senza il suo sacrificio e il suo dolore, non sarebbe accaduto. Ecco che fatti una volta inspiegabili adesso si spiegano. Come dice adesso quel prete che la maglietta nerazzurra se l'è tolta, "non lo sappiamo cosa succederà e non importa quanto abbiamo sbagliato fino a ieri, fino a pochi minuti fa e se sbaglieremo ancora. L'unica cosa che conta è che il nostro cuore pieno di desiderio rimanga sempre desto". I pulmini del penitenziario hanno acceso i motori e aperto le porte. Loro, i detenuti, salgono uno a uno. Hanno chiesto a quel prete, don Eugenio, di potersi incontrare ancora. Lui ha detto che deve decidere la direttrice. E lei ha detto che va bene, solo il prete deve venire giù a incontrare mica solo loro, quelli che oggi hanno giocato, ma tutti i carcerati che stanno lì, dietro le mura del dolore.Il filo rosso continua a dipanarsi. E io vedo quell'uomo dai capelli grigi e il fisico asciutto e slanciato, io vedo Pino che risale sul pulmino del penitenziario con uno sforzo elegante, tirandosi su con forza con entrambe le braccia. Potrei essere impazzito, ma quello è il gesto di una persona che è serena, perché sa che comunque il suo destino è un destino buono.
                                                                                                     Paolo VITES


Intervento di D. Eugenio NEMBRINI all'evento: (trascrizione non rivista dall'autore)

Io sono stato a lavorare come prete sempre nei bassifondi, prima in un quartiere malfamato di Roma poi sono stato 10 anni in Kazakistan in un posto assurdo, adesso in una scuola di Milano, rettore di questa scuola.
Tra Roma, Kazakistan e la scuola di Milano non c’e’ differenza, certo che c’e’ differenza, mi capite anche voi, ambiente, situazione, tutto e’ diverso ma e’ impressionante che non c’e’ differenza, cioè il cuore dell’uomo qualunque uomo abbia incontrato dal più semplice al più casinista e’ proprio uguale. Ha dentro una voglia, ha dentro un desiderio ha dentro una volontà ha dentro un grido di bene che e’ impressionante. A me non frega assolutamente nulla poi che strada uno ha fatto ma il problema della vita e’ che uno, due, cinque, otto tra noi prima o dopo possano arrivare a incontrare questo destino buono per se. Strade tortuose magari, ma chi se ne frega, il problema della vita e’ se questo grido che abita nel tuo cuore prima o dopo può impattare con una speranza con una presenza. Io dico solo questo ai miei amici, continuo a ripeterlo, che cosa vi domando: io non vi chiedo di essere bravi, che e’ un termine così cretino che non vuole dire proprio niente, non vi chiedo di non sbagliare, io vi chiedo solo di essere seri con questo grido. Perché prima o dopo se uno grida, bussa, domanda prima o dopo sta tranquillo che il Padre risponde . Tutta la bellezza della vita sta in questa presa di coscienza e di serietà con il proprio  cuore. Anche oggi comunque guardate, a parte un po’ le camionette, se fosse venuto qua chiunque a guardarci giocare avrebbe visto chi ? della gente lieta di essere insieme che gioca a pallone. Guardate siamo così. Poi i nostri amici dovranno ritornare. Io non so cosa ti aspetta o non ti aspetta nella vita. Ma io so che qualunque posto vai il tuo cuore non lo fa tacere nessuno, ma non solo voi che siete in carcere anche tu che vai a scuola. Seri e veri con questo cuore che ha solo voglia di incontrare una risposta. Il demonio non e’ quello che ci frega facendoci fare le cose brutte, ci frega facendo tacere il cuore. Dio non vuole le cose belle, riaccende tutti i giorni il nostro cuore. Il cristiano, il religioso e’ uno che si prende sul serio così. Per cui l’augurio per tutti liberi, non liberi, avvocati, guardie, carcerati e’ la stessa roba ; seri e grandi con il cuore. Se poi questa amicizia la continuate e’ una cosa straordinaria, io ci sono e spero proprio di venirvi ad incontrare ancora.

















Due tipi strani

16:35 / Pubblicato da Alessandro / commenti (4)


Genova foce, dieci del mattino, 30esima o 40esima edizione del salone nautico, oramai ho perso il conto. Casino ovunque. E io lavoro proprio li a pochi metri, non ne posso più. E ovviamente stamani mi tocca muovermi per la città.
Aspetto pazientemente il "42", 20 minuti di attesa immerso nelle "polveri fini" di questa city. Umidità al 90%, ma non è arrivato l'autunno? Ovviamente sull' autobus posti a sedere zero, aria condizionata optional, finestrini sigillati, odori umani "pressanti". Sto attaccato ad un maniglione che mi fa venire alla mente l'albero della cuccagna unto di strutto.
A pochi metri due tipi strani. Lui avrà sessantanni, lei diciotto, venti, non so. Bassetta, rotonda. Down.
Anche bruttina per essere down, ma un viso estremamente simpatico.
Per nulla addormentata al contrario dei compagni di viaggio, anzi costringe il padre a tenerla stretta perchè lei è particolarmente irrequieta ma non agitata. Si vede che stanno proprio bene insieme, li osservo e sorrido. Che belli che sono. Li intorno qualcuno guarda curioso, qualcuno infastidito. E si, quei due sono proprio inquietanti. Disturbano la nostra visione "pulita" della vita.
Ma è troppo chiaro, quei due sono esageratamente più felici di quelle persone infastidite dalla loro presenza. Sorrido ancora mentre immagino di essere qui anch'io con Simo, in giro per la città. Fosse ancora qui.
Mmh..., beh, come dice un mio amico: se il cuore sanguina, lascialo sanguinare.
Proprio belli quei due, starei a guardarli per ore. Ma in piazza De Ferrari scendono, li saluto con lo sguardo e con il cuore. Lei è contenta, ride mentre trascina per la mano il padre che sembra un ragazzino pure lui, sereno. Molto più felici di tutti noi. Io continuo a sorridere come un cretino, li in mezzo alla gente. Valeva proprio la pena di alzarsi oggi. Cristo era li che sorrideva in quella bambina.
Come al solito, l' apertura del cuore all' inatteso mi porta anche pensieri strani: il genocidio dei bimbi down continua, ne vedete ancora in giro voi? Sono i più facili da eliminare. Ma Gesù era li oggi. E la Speranza ora è un po' più viva in me.