All'inizio è qualche bottiglia di birra, che passa di mano in mano. Poi ne spunta una di grappa, ma è già mezza finita. Qualcuno ha portato del limoncello e si fa fuori anche quello. No, non siamo a un qualche ritrovo trendy della Milano da bere. Siamo alla periferia di questa Milano, immersa nella nebbia fredda che entra nelle ossa da farti urlare 'datemi un po' di sole per favore'. Siamo nell'ufficio del rettore di questa prestigiosa scuola privata milanese, che se lo vedessero, il suo ufficio, adesso, oltre alle bottiglie anche una nuvola spessa di fumo di sigarette, certi genitori in pelliccia che arrivano qua la mattina presto a portare i figli a bordo di fuoriserie extra lusso, forse i figli li porterebbero altrove. Scandalizzati. Le apparenze, le istituzioni, tutto è trasceso e diventa più umano, più bello, con don Eugenio, che è lui il rettore di questa scuola. Che è lui che ci ha invitati nel suo ufficio dopo l'usuale incontro che tiene, davanti a qualche centinaio di persone, ogni quindici giorni, a leggere e a discutere un testo di don Luigi Giussani. "Tutto per noi è importante, tranne la vita" abbiamo letto poco prima. Invece qui, con don Eugenio, l'unica cosa che conta è la vita, quella vera, quella dove si inciampa, si cade malamente e dove si può ricominciare ogni volta daccapo: "Puoi sbagliare un milione di volte" dice "tanto Dio ricomincia con te un milione di volte". E' così che mi sento stasera. Anche a 47 anni si ricomincia daccapo, se quello che ti interessa è la vita, la vita intera. Per qualche motivo mi viene da pensare alla prima volta. Anche allora fu un prete, don Batti come lo chiamavano, in una piccola parrocchia dalle parti di Sestri Levante, dove ci portavano, noi ragazzini di 12, 13 anni, a giocare e cantare insieme. Era, oggi come allora, un prete che non ti chiedeva proprio niente chi eri e cosa avevi fatto. Un abbraccio, stasera come allora, per cominciare e ricominciare. Che la cosa grande è che il posto c'è sempre, a Sestri Levante come nella periferia di Milano, che c'è una nebbia fredda da bestia e ci fosse un po' di sole per favore, domattina. "Posso passare a salutarti, tra un appuntamento che hai e l'altro, qualche volta?" chiedo quando birra e limoncello sono finiti. "Quanto tempo ti serve, cinque minuti?" risponde il prete. "Facciamo dieci". "No, se vieni, stiamo insieme un'ora". Forse era la birra, o l'ora tarda. Però è proprio vero, come diceva il prete prima, che non affidarsi a Colui a cui apparteniamo, a questa compagnia, quello è il peccato. Aggiungerei che non affidarsi a Colui a cui apparteniamo sarebbe proprio da cretini.
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