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Vota Antonio

14:35 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

Ieri mi sono proprio divertito. Come sempre, è successo in una occasione a cui non volevo prendere parte. Mi hanno "obbligato" a fare un po' di campagna elettorale. Non la facevo da secoli, non la volevo fare manco ieri. Appena siamo arrivati al gazebo del Pdl e visto il materiale che c'era da distribuire, ci siamo rifiutati. Tristissimi volantini con frasi patetiche del "magnifico leader" che hanno proprio rotto le palle a tutti nella loro insignificanza. Slogan triti e ritriti che non fanno più presa manco su un gatto morto. Così siamo andati a recuperare altro materiale. L'articolo di Giorgio Vittadini, ad esempio, e un altro volantino fatta da nostri amici che non mi faceva proprio impazzire, ma era certo meglio di quanto proponesse il Pdl. Così ci siamo messi in mezzo a questa casba che era il mercato di ieri in via Farini. L'80% di quelli che passavano erano extracomunitari, cinesi, rumeni, africani. Ovviamente tutta gente che non vota. C'erano però anche degli egiziani copti, troppo simpatici. Oltre a congratularmi per la loro bella rivoluzione, sono tutta gente che vota: "Moratti, perché gli islamici votano tutti a sinistra", dicevano. Ah ecco. Poi c'erano un sacco di sostenitori di Pisapia. Loro stessi ci dicevano che venivano appositamente dalla Toscana, viaggio "organizzato", per fare campagna per il candidato del centrosinistra di Milano. Bella roba. Della serie, sono quelli del Pdl che pagano per avere dei sostenitori. Alcuni erano un autentico flashback. Donne sui 50 anni, vestite ancora da femministe anni 70: sembrava avessero scoperchiato una sorta di "Ritorno al futuro". Molti però erano simpatici, non credete a tante balle sullo scontro che ci sarebbe in questi giorni a Milano. Con un ingegnere quarantenne che girava con una bicicletta con su la bandiera Vota Pisapia ho parlato quasi mezz'ora. Un bel tipo. Mi ha quasi convinto a votare Pisapia. In realtà è davvero difficile sostenere le ragioni di Letizia Moratti. Ne ha davvero pochissime. Un sessantanne incazzato che mi diceva di aver votato 40 anni Democrazia Cristiana mi urlava che non avrebbe mai più votato per la Moratti, perché "a Quarto Oggiaro e in periferia non ha mai fatto niente". E' vero. Come fai a dirgli che non è vero? L'ingegnere poi era un piccolo imprenditore incazzato perché non era mia stato aiutato dal comune. Altro che comunisti, la gente ha esigenze reali, è la vita che conta. Una ragazza comunque mi ha mandato a quel paese. Carina, look da centro sociale, mi si è avvicinata sorridendo e ha cominciato a mitragliare. "Fate schifo Fate schifo Fate schifo Fate schifo Fate schifo". E poi: "Venite qui a intontire i vecchi rimbambiti per farli votare Berlusconi". Ovviamente mi è andato subito il sangue alla testa. Ecchecazzo. Le ho detto. "Ocio, che stai parlando da razzista, stai dando del rimbambito agli anziani, brutta razzista". Perché è così: chi non vota secondo quello che certa gente pensa sia giusto, è per forza di cose un rimbambito e un coglione. Magari mettiamoli nelle camere a gas questi vecchi rimbambiti che non vogliono capire come diventare intelligenti. Poi c'era una signora che girava con un cane in braccio e una coppia della Padania aperta e urlava: "Vedrete come starete bene con Pisapia!!". Insomma, avrete capito, era un vero manicomio. Ho fatto amicizia con un venditore ambulante argentino che vive in Italia da vent'anni e che si lamentava di non aver diritto al voto e che la Moratti non aiuta i venditori ambulanti. Mi ha invitato ad andare a trovarlo alla Fiera di Senigallia. Ci andrò. Alla fine di tutto, è sempre bello incontrare la gente e guardarli negli occhi e farsi mettere alla prova. Perché noi, prima di partire a volantinare, ci siamo messi lì a discutere per capire cosa potevamo di dire di intelligente alle persone. Niente di che, solo le nostre vite, mica la politica. La politica non salva la vita, la città perfetta che sogna Pisapia semplicemente non esisterà mai. Io ho parlato di banco alimentare, di scuole paritarie, di desiderio di felicità. E oggi so meglio che cosa vale per me. Né la Moratti né Pisapia. Un Altro, è quello che mi interessa, e poterlo incontrare ogni istante, anche volantinando. Come dice pigi oggi sul IlSussidiario.net: "Ma pochi hanno potuto presentarsi in piazza o in un mercato dicendo che l’ideale è una cosa concretamente davanti agli occhi, è una persona fisica che può prendere nota di un numero di telefono e richiamare perché lo sconosciuto cui si è dato il volantino ha un problema e si vuole risolverlo insieme; cominciando da subito e non rimandando al cambiamento dell’assetto istituzionale e politico. E non dimentichiamo che molta sinistra centralisticamente pianificatrice, giustizialista o urlante è nemica di una politica fatta così". E ancora: "Nella propria vita personale, poi, può succedere di dare un assenso ritenuto reale ai principi e ai valori cristiani e dopo scoprire che dietro di essi non è rimasta l’umanità viva che continuamente li rigenera e propone. Allora ci si sente come Barabba che vive perché quell’uomo gli ha donato la libertà ed è però irrimediabilmente lontano. Invece può ripresentarsi di nuovo. Magari con la faccia di un umile schiavo frigio o di un ragazzo che offre un volantino elettorale a un mercato". Uhm. Ieri è stato proprio così.

Oltre quella grigia stanza

20:27 / Pubblicato da Alessandro / commenti (0)


Due genitori, tre figli. Due con grave "autismo". Alcuni semplici pensieri rivolti agli insegnanti di quella scuola, a Chiavari. Il Maria Luigia,  luogo segno evidente per molti di qualcosa che va oltre quello che ci si aspetta da una "scuola privata".
Grazie Milva, grazie Flavio per ricordarcelo.

Oggi, ancora una volta, una delle tante volte....
un altro ospedale, un altro dei tanti ospedali.....
Abbiamo raccontato dei nostri figli, del "loro modo di stare al mondo" insieme con noi, nella vostra scuola, tutti i giorni di questi anni.
Non abbiamo chiesto loro di validare, di esaminare quanto e come è stato fatto, abbiamo semplicemente detto "come vivono" e "come stanno" a scuola durante le loro giornate.
Abbiamo ricevuto approvazione, ammirazione, grande considerazione per quanto e per come è stato fatto. Con professionalità, con attenzione al  bisogno, al loro bisogno è stato cercato, dove altre figure competenti avrebbero dovuto e potuto cercare.
Non volevamo trovare la validazione del vostro operato, al quale del resto siamo "passivamente abituati", ma oggi ci siamo sorpresi a pensarci, richiamati fortemente a questo dallo stupore di queste persone.
Un grazie, semplice, semplice nulla di più.
Per essere stati "Soli insieme con noi".
Per la felicità, la serenità di Andre e Benny, felicità e serenità che loro hanno regalato a noi tutti, che oggi eravamo in quella stanza grigia a guardare al loro Destino.
A tutti un abbraccio
Milva e Flavio

La penultima cena

10:11 / Pubblicato da Alessandro / commenti (0)



E' incredibile che scrivere ieri quello che ho vissuto mercoledì sera, mi ha aiutato ad affrontare la difficile giornata di oggi a Milano. Ho bisogno di coraggio, molto coraggio per vivere la mia condizione e ne sono sprovvista. La fiducia però non mi manca grazie alla realtà che mi parla come attraverso questo spettacolo...”La penultima cena” di Paolo Cevoli.
Avevo già visto lo spettacolo di Paolo Cevoli “La penultima cena” ad Alassio.
Il desiderio che mi ha spinto a rivederlo credo essere stato legato alla mia necessità primaria di condividere momenti significativi della vita con i genovesi e di incontrare un amico conosciuto ad Ischia.
Condivisione che capita sempre più raramente e che quindi ha un valore triplo, come una bella giornata di sole dopo tanta pioggia e maltempo, qualcuno direbbe.. non ha prezzo..
Grazie quindi ad una coincidenza di recuperi sul lavoro, eccomi a teatro a Genova e con me alcuni amici e colleghi.
La prima cosa che mi ha colpito è stata la quantità di giovani presente alla serata organizzata appunto dalla Consulta dei giovani studenti (credo partita dalla scuola L. King). Tra i tanti anche Alice mia nipote con gli amici di Chiavari, facce gioiose e animate, certe della bella amicizia che stanno vivendo, con loro, i sempre presenti professori..
Un ragazzo vicino a me stupito mi ha chiesto informazioni..ma chi ha organizzato questa serata? Paolo Cevoli è vostro amico? Io fiera ho risposto che lui è venuto perché i ragazzi l’hanno chiamato e che è uno molto aperto e sensibile alle problematiche sociali, io stessa l’ho conosciuto personalmente  e mi ha stupito per la sua semplicità oltre che simpatia.
Inizia lo spettacolo, come scenografia, la tomba dove fu sepolto lui Paulus Simplicio Marone, un grande chef dell’antica Roma che è riuscito per le vie più strane a preparare l’ultima Cena di Gesù e che è stato ammazzato per avere salvato un gruppo di Cristiani dalla strage di leoni, avendoli “anestetizzati” con una lauta cena...
Il tutto con la comicità tutta romagnola del “patacca” alternata a momenti di grande profondità di pensiero e di riflessione sull’incontro con Gesù.
Quell’incontro che lui ha descritto come uno “Sguardo” del Maestro  che cambia la vita e che tira fuori tutto il potenziale della persona e che lo fa esprimere al massimo, con tutto il temperamento e la piccolezza di cui uno è fatto..
Anche dopo l’incontro persiste tutta la piccolezza, tutta la difficoltà a capire, lui stesso raccontando nello spettacolo vedeva in Gesù un interesse personale, un ottimo socio in affari ..”Ristorante al Miracolo..si mangia da Dio..”
Cevoli mi ha di nuovo colpito, per la grande libertà che ha espresso nel raccontare di Gesù come un amico, non ha paura a nominarlo per tutto lo spettacolo, con coraggio.. e recita sul palco per quasi due ore senza interruzione...
Dallo spettacolo è venuto fuori un uomo certo, un uomo con una missione, sicuramente come dice lui quando racconta di se, del suo passato di manager  e come il suo talento si è imposto sempre di più “Gesù, saprà lui perché mi ha fatto un patacca”..
All’uscita ero contenta, cercavo di trovare nel suo racconto comico ma allo stesso tempo molto serio, un valore per me, di sicuro c’è che uno l’occasione per “vedere” la trova sempre, il fatto poi che un uomo di spettacolo gridi il nome di Gesù a destra e a manca ti fa chiedere di più il coraggio di chiamarlo con il suo nome e di non chiuderti nella paura.
Era bello vedere quella certezza raccontata così semplicemente e così chiaramente, così vissuta, per raccontarla con tanta lucidità.
Quella certezza è anche la mia o meglio è ridiventata anche mia.
Dopo la sua testimonianza il desiderio che ne consegue è di incontrare Gesù nelle circostanze,  attraverso quella tensione che accompagna e che ci chiede sempre di piu’.
Ha spiegato bene Cevoli nel suo personaggio, il desiderio di diventare il più grande chef di Roma , l’ha portato ad incontrare Gesù e a essere il protagonista “dietro le quinte” dell’Ultima Cena e ancora di più dopo aver passato molti anni schiavo in prigione ad aver salvato i Cristiani da una possibile strage..
Anche noi quindi, attraverso la nostra tensione a migliorarci e a volere le cose più grandi e più belle, possiamo incrociare questo Sguardo ed essere chiamati ad essere continuamente protagonisti della nostra vita.
 Silvia L.

St.Patrick's Time

22:42 / Pubblicato da Alessandro / commenti (1)

Un viaggio in moto

19:50 / Pubblicato da Alessandro / commenti (1)


Ieri mattina ho viaggiato in moto per circa 80 chilometri. E ritorno. Dovevo raggiungere una parrocchia e lì avere un incontro con un gruppo di responsabili di comunità. Durante il viaggio mi sono lasciato attrarre dal mondo circostante. Faccio sempre così, mi lascio attrarre da quello che accade intorno a me. Tutto diventa motivo di intercessione. Per questo da anni mentre vado in moto recito il Rosario, rispondendo alle sollecitazioni della strada. In realtà non riesco a contare le Ave Maria che recito, ma le recito e le semino, qua e là. Come ieri mattina. Da lontano ho visto una bambina correre. Scappava da una donna, penso la madre, che aveva in mano un frustino. La bambina piangeva. Non so cosa avesse commesso, ma so cosa avrebbe fatto la madre di lì a poco. Ho detto un’Ave Maria per quella bimba. Più avanti due giovani, anch’essi in moto, mi hanno superato. Ho detto un’Ave Maria anche per loro, perché non si schiantassero... Ho pensato a uno dei nostri ragazzi che, due giorni fa, di sera, in moto, tornando a casa, ha sbattuto contro una mucca. Non l’ha vista in tempo. Le notti cambogiane, nere come l’inchiostro, non hanno il beneficio della luce pubblica. Solo la luna, quando è piena. Ora quel giovane è tutto rotto: braccio, gamba e volto tumefatto. Ho recitato un’Ave Maria, ma a incidente avvenuto!
Più avanti, durante il mio viaggio, è toccato a me superare una moto. Procedeva troppo lentamente, tanto era carica: babbo, mamma, tre figli, un sacco di riso e un pollo a testa in giù. Ho detto un’Ave Maria anche per questa famiglia, probabilmente diretta a Phnom Penh per lavoro.
Così, la strada mi fa pregare, attira la mia attenzione ed io semino le Ave Maria qua e là, come se i nodi del mio rosario si sciogliessero e i grani cadessero lungo la strada a raggiungere le situazioni più impensabili e distanti. Ogni dettaglio, ogni scena di vita, un’Ave Maria.
«Il modo con cui il reale si presenta a me è sollecitazione... Mi impressiona e mi muove... La realtà afferra la nostra coscienza in maniera tale che questa pre-sente e percepisce qualcosa d’altro. Di fronte al mare, alla terra e al cielo e a tutte le cose che si muovono in esso, io non sto impassibile, sono animato, mosso, commosso da quel che vedo». Tutto mi parla. «Il mondo è come una parola, un logos che rinvia, richiama ad altro, oltre sé, più in su» (L. Giussani, Il senso religioso) .
Sono spesso i poeti a sentire e vedere questo logos. «Il tuo dono tremendo / di parole, Signore, / sconto assiduamente» (S. Quasimodo, Al tuo lume naufrago). Già Cristina Campo aveva percepito e scritto del legame fra Poesia e Attenzione al reale. Lo sguardo, l’ascolto. Seeing Things, direbbe il poeta irlandese Seamus Heaney. Non è il sapere qui che conta, ma il vedere. «Poesia», dice Cristina Campo, «è anch’essa attenzione, cioè lettura su molteplici piani della realtà intorno a noi. E il poeta, che scioglie e ricompone quelle figure, è anch’egli un mediatore: ...in uno sforzo incessante di decifrazione così della realtà come del mistero» (C. Campo, Gli imperdonabili).
Ad essere sincero non so perché la strada istintivamente mi invita a pregare il rosario. Forse un retaggio della mia infanzia, il ricordo di suor Teresa che mi ha preparato alla prima Comunione, oppure, semplicemente, una puerile inclinazione al pietismo. Ma più profondamente potrebbe essere la speranza che ai piedi di quella croce ai bordi della strada, vi sia qualcuno come Maria. La Madre di Dio. Guardate ai bordi delle vostre strade. Nel vostro procedere sicuro, sempre di corsa, in fuga, prestate attenzione alle scene di vita, diurne e notturne, e ditemi se non è opportuno chiedere la presenza, seppur spirituale, della Madre di Dio. Ai bordi delle strade...
Allora sento istintivamente una consonanza con le parole che Cristina scrive più avanti quando definisce la forma compiuta dell’attenzione: «Qui l’attenzione raggiunge forse la sua più pura forma, il suo nome più esatto: è la responsabilità, la capacità di rispondere per qualcosa o qualcuno, che nutre in misura uguale la poesia, l’intesa fra gli esseri, l’opposizione al male. Perché veramente ogni errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione.
Chiedere ad un uomo di non distrarsi mai, di sottrarre senza riposo all’equivoco dell’immaginazione, alla pigrizia dell’abitudine, all’ipnosi del costume, la sua facoltà di attenzione, è chiedergli di attuare la sua massima forma. È chiedergli qualcosa molto simile alla santità» (C. Campo, Gli imperdonabili).
A scuola, Savin, la nostra "tutto fare", anche se non sa fare tutto, ha ritirato alcuni cellulari. Costano così poco, le lusinghe del mercato sono talmente avvincenti che chiunque, dico chiunque, non ha più alcuno scrupolo. Ma quello strumento estremamente utile, a scuola, diventa uno "strumento di distrazione di massa". Ha un bel da fare l’insegnante di turno a riacciuffare le mente dello studente già da alcune ore dispersa nell’etere, fra emozioni e sentimenti che, per quanto importanti, non riescono mai a trovare una collocazione giusta nel suo cuore e nelle sue giornate... Tra questi strumenti di distrazione, metteteci tutti i salotti televisivi, i vari reality show, gli opinionisti a comando e i sofismi sul nostro tempo post-moderno che qualcuno ormai chiama «ipermoderno». «Tempo intossicato» che produce «comportamenti tossicomani». Il problema del nostro tempo è l’iperstimolazione di tutti i sensi del nostro corpo. Di notizie, informazioni, parole, sensazioni, immagini, prodotti, gadgets, e quant’altro... al punto che cominciamo istintivamente a proteggerci con quello che un noto psicologo chiamava «il principio di Nirvana». Questa strana allusione al Nirvana suona interessante, per me che vivo in un Paese buddista. Ma qui è inteso come «principio di narcotizzazione della vita». Accediamo a quello «stato di assenza di passioni e di sensazioni che viene provocato (...) da una iperstimolazione violenta del corpo» (M. Recalcati, L'uomo senza inconscio). Per questo anche Jovanotti è preoccupato di assue-farsi e «di non riuscire più a sentire niente».
Qui mi aiuta la strada. Mi aiuta il Santo Rosario. Mi aiuta non l’etica del viandante solitario al modo di Nietzsche, ma al modo dei due di Emmaus. «Io lo so che non sono solo anche quando sono solo». Lui è qui. Ditemi un po’ se, alla fine, debba essere un cantante ad osare di più di tutti i filosofi del Nichilismo messi insieme. Ironia della sorte e della storia. Ancora una volta, non il sapere, ma il vedere.
Sempre in moto, ci sono momenti in cui addirittura canto l’Ave Maria. Non in italiano, ma in latino... quasi che Maria possa intendere meglio quell’antica lingua e intercedere subito presso suo Figlio. Comunque e nel frattempo, ci sono sempre un po’ di versi, che mi fanno compagnia:

È qui che Dio m’assiste
lungo la parte più assurda della curva
saldamente incollato
su questa traiettoria
ad occhi chiusi vinco
la vertigine il vuoto la mia storia
(Bartolo Cattafi)

Alberto Caccaro (Missionario del PIME)

Segno e libertà

20:30 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (3)

Come dice bene John Waters nel suo imprenscindibile libro, Lapsed and Agnostic, l'ateo è fondamentalmente un cristiano arrabbiato. Deluso, anche. Un cristiano che vorrebbe il cristianesimo - e la Chiesa soprattutto - così e cosà, che magari ha anche vissuto e visto cose brutte che lo hanno reso furioso verso la fede e chi la raprrsenta. Perché è impossibile non credere in Dio, è nella nostra natura, viene fuori da solo continuamente e continuamente lo ricacciamo, ce lofanno ricacciare, questo innegabile bisogno di Dio. Ogni gesto che facciamo infatti è mendicanza, è affermazione di un Altro che ci fa. Cose dette e ridette che solo per sforzo della volontà si negano. Lo diceva con il suo impagabile senso dell'umorismo anche Einstein: "Il caso è la via che Dio usa quando vuole restare anonimo". Per dire che il caso non esiste. Ma se l'ateo è un cristiano arrabbiato, il cristiano medio cos'è? Un cristiano annoiato. E dimentico. Ogni cosa è segno, segno di Altro, tutto parla e rivela l'Oltre. Quella natura miseramente fragile che ci costituisce ce lo fa dimenticare. Così oggi pomeriggio mentre mi trovavo al mio turno in redazione, in mille cose affacendato e pensando a quale bottiglia di rosso avrei stappato una volta giunto finalmente a tavola questa sera, squilla il cellulare. Sul display, un nome che non vi capitava sopra da moltissimi mesi, probabilmente un anno o poco meno. Ecco che irrompe l'imprevisto, e subito si accende un fanalino. La voce dall'altra parte del filo è calda, tenera e gioiosa. Già, soprattutto questo mi dà da pensare ogni (rara) volta che la risento. Gioiosa. E' la moglie del mio (nostro) amico Alberto, Cucciolo come lo chimavamo noi. Non c'è nessun motivo particolare per chiamarmi. Solo, aiutando la figlia a fare i compiti - Laura deve scrivere un compitino su Eminem, oddio ma che scuole sono le scuole moderne? - e allora lei, alla mamma, le sono venuto in mente. "Vites che è uno che di musica è un esperto". Gli auguri di Natale e di buon anno che non ci eravamo ancora fatti. La sua preoccupazione per sapere se avevo poi trovato lavoro (ecco non ci sentivamo da appena ero rimasto senza lavoro, un bel po'). La sua felicità nel sapere quale tipo di lavoro avevo trovato, "perché Vites non può fare il magazziniere, Vites deve scrivere". In tutto questo marasma gioioso del suo parlare, mi viene in mente in che mese siamo. Gennaio, come quel gennaio orribilmente freddo di sei ani fa quando Cucciolo era morto. Mi si chiarisce il motivo di questa telefonata - non che lei l'abbia fatto per questo, o forse sì, o forse sentiva che era il momento giusto per farla: per farmi ricordare, il cristiano dimentico. "Allora ci vediamo alla messa" dico io impacciato. "Sì, il 24, alle 18 e 30, a Dergano" dice lei. Ecco. I miei amici atei dicono che Dio non c'è, che nessuno può dimostrarne l'esistenza. Queste telefonate però ne dimostrano l'esistenza. Lui accade continuamente, ogni cosa accade per un motivo. Ogni cosa che accade è segno. Poi certo Lui si ritira discretamente e da lì subito scatta la libertà che solo Lui sa permettere, di riconoscere o far finta di niente. Di andare da una parte o dall'altra. Segno e libertà, non c'è niente altro di più o di meno nella vita. Ci vediamo il 24, alle 18 e 30, a Dergano, Cucciolo.

Rosa d'Egitto

21:53 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (1)

Maryam Fekry, egiziana, di religione cristiana copta, ha 22 anni. Come milioni di giovani come lei ha la sua paginetta sul social network Facebook. Qui, si fa chiamare Mariouma. Così la chiamano i suoi amici. E' una bella ragazza, nel fiore degli anni, come quel fiore, una rosa, che ha tra i capelli nella foto che ha scelto come suo ritratto su Facebook. La sera dell'ultimo dell'anno 31 dicembre 2010, si appresta ad andare alla messa di mezzanotte, nella chiesa dei santi Marco e Pietro, di Alessandria d'Egitto. Non come gli annoiati suoi coetanei d'occidente, che affogano la loro noia e solitudine nell'alcol delle feste di fine anno. Prima di uscire di casa, lascia un messaggio sulla sua pagina di Facebook, in inglese. Il messaggio è un saluto all'anno che sta finendo e un augurio per quello che sta per arrivare. "2010 is over.....this year has the best memories of my life....really enjoyed living this year......I hope 2011 is much better.......i hav so many wishes in 2011....hope they come true.....plz god stay beside me & help make it all true. :)". Un messaggio semplice specchio di una fede altrettanto semplice ma sincera: "Il 2010 è finito. Questo anno finito contiene i migliori ricordi della mia vita, in questo anno sono davvero stata felice. Spero che il 2011 sia ancora meglio. Ho tanti desideri per il 2011, ti prego Dio stammi vicino e aiutami a fare che diventino veri". Poche ore dopo la ragazza e i suoi sogni vengono spazzati via da una bomba assassina. Mariouma è una dei 21 cristiani massacrati e fatti a pezzi dall'odio dell'Islam fondamentalista. La foto di Mariouma racconta ancora della sua giovanile bellezza, con una rosa nei capelli. Con tutto lo spietato realismo che solo Internet sa mostrare, la pagina di Mariouma ancora oggi continua a mostrare i messaggi automatici che Facebook genera una volta che ci si iscrive a certe pagine, ad esempio l'oroscopo della ragazza morta che continua ad aggiornarsi ogni giorno. Ma ad essa, si aggiungomo anche i messaggi di cordoglio che in tantissimi lasciano sul quella pagina, anche in caratteri arabi, anche qualche musulmano. La sua testimonianza è divenuta simbolo del martirio dei cristiani copti in Egitto. Mariouma è la rosa d'Egitto, testimonianza di una fede, quella cristiana, che sola permette la libertà di tutti, delle altre religioni e anche degli atei. Mentre i cristiani, da Duemila anni, sono sempre uccisi per il loro amore alla libertà.

La risposta alla mia solitudine

12:11 / Pubblicato da Paolo Vites / commenti (0)

La lettera scritta da MAURIZIO CORA, che ha perso moglie e figlie nel terremoto dell’Aquila Caro direttore, ora che Natale lascia più spazio al silenzio, il Disagio chiede in giro il nome del negozio dove si vende il coraggio per continuare a vivere. Il Disagio non sa neppure da dove viene, né quanti anni ha: esiste e basta. Dinanzi a lui la domanda è se valga ancora la pena di continuare a lottare per esistere. Quando non avevo ancora i capelli bianchi, talvolta il Disagio bussava forte anche alla mia porta, ma subito veniva allontanato dall’amore sconfinato di mia moglie, dai primi sguardi azzurri delle mie bambine, dalle candeline dei loro compleanni, dalle canzoni dei Beatles, dalla brezza di primavera. Ma ora che il dolore non mi ha risparmiato e che il tempo mi ha accompagnato sino a qui, la Solitudine come una maestra severa nel mio deserto domestico mi interroga sul senso dell’esistere e mi affanno a cercare risposte. Ma oggi che ancora una volta è Natale e un piano lontano suona l’allegra malinconia di Grieg, mentre la sera ruba in fretta la luce dal giardino, quel misterioso bagliore della stella cometa risponde per me. (Maurizio Cora)

12:15 / Pubblicato da Alessandro / commenti (0)