Sembra che le prime parole che abbia detto uscendo dalla tomba in cui era stata sepolta viva per 24 anni insieme a tre dei sette figli dell’abominio (uno morto appena nato, altri tre adottati dal padre che da lei li aveva avuti, se quest’uomo ancora si può chiamare padre) siano state per chiedere notizie appunto dei tre bambini che le erano stati portati via appena nati. Bene ha fatto il settimanale Tempi a mettere in copertina questa storia dell’orrore più indicibile che mente umana possa immaginare, la storia di Elizabeth: http://www.tempi.it/esteri/001171-il-bene-infrangibile Anche Davide Rondoni, su Sussidiarietà ne ha parlato (http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=1908), unici due casi tra i mass media - come sempre fatti di voyeurismo vizioso e vuoto ideologico -, a darci parole di speranza davanti a una storia che personalmente mi ha tolto il sonno da settimane e davanti a cui mi sembrava impossibile ci fosse la benché minima possibilità di speranza. Ho provato a pensare a una sola giornata dei 24 anni passati da questa donna, questa martire dei tempi moderni (e i suoi figli non son da meno) e ho dovuto fermarmi per la troppa angoscia. Impossibile anche immaginarne l’orrore. In questa tomba, però, questa donna ha conservato un’anelito di speranza: “Sapevo che prima o poi sarei tornata libera, non mi sono mai sentita prigioniera perché sapevo che l’uomo nasce libero”. Vengono i brividi a pensare ciò. La forza di sopravvivere (chiunque altro, siamo onesti, avrebbe almeno accarezzato il pensiero di uccidersi in una situazione così estrema) glie l’hanno data proprio i figli, i figli dell’orrore: lei li ha amati comunque, li ha accolti, ha cercato di educarli, ha voluto loro bene. Guardando l’altro, ha trovato la forza di sopravvivere e li ha fatti sopravvivere. Che lezione immensa ci ha dato questa donna, Elizabeth. Nel cuore dell’uomo, per tutto il male inimmaginabile che l’uomo stesso può fare, Elizabeth ce lo ha provato, è inestinguibile il desiderio del bene, della libertà, dell’amore inteso come dono di se. Lo ha detto il dottore della clinica che la sta curando: ha resistito solo per salvare i propri figli. Cose come questa storia non accadono per caso, in questo terzo millennio delle millantate conquiste scientifiche, dell'egoismo, della noia di chi ha tutto. Storie come queste accadono perché attraverso il martirio di Elizabeth e dei suoi figli dell’abominio ci sia ricordato che la vita, quando è spesa per l’altro, è capace di vincere anche ogni inimmaginabile orrore. In quella tomba, noi ne siamo certi, Elizabeth e i suoi figli non erano soli. Un Altro ha fatto loro compagnia.
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