Terra desolata

10:15 / Pubblicato da Paolo Vites /

"Che puoi fare per me? Puoi pregare per me". A dirmelo è un'amica atea che più atea non si può. Un'altra amica, cattolica, mi dice che pregare per lei non significa più nulla. Non mi aspetto più niente, dice. Allora pregherò io per te, le dico. Una domenica mattina presto ero nella bellissima basilica di San Lorenzo poco prima di andare a fare il mio turno di lavoro. C'era una messa in corso, il prete era all'omelia. Continuava a ripetere: "Domandiamoci cosa dobbiamo fare. Che cosa dobbiamo fare?". In fondo, dove mi trovavo io, una bellisima statua di Padre Pio in grandezza naturale, ricoperte di rosari. Vicino a me una famiglia non so se sudamericana o indiana. Padre, madre e figlioletta piccolina tutta imbacuccata per coprirsi dal freddo. A turno, prima il padre e poi la madre, si alzano e vanno a inginocchiarsi davanti a Padre Pio, con grandissima dignità mettono entrambi le mani sui piedi della statua. E pregano. La bambina, anche lei sembrava avere una grande dignità, li osserva entrambi con il capo dritto. Che cosa pensa. Non saprei, credo però che conserverà per tutta la vita l'immagine dei suoi genitori in ginocchio. Che pregano. Volevo alzarmi in piedi e interrompere l'omelia di quel prete: "Ecco csa dobbiamo fare" avrei voluto dirgli mostrandogli la famigliola di extra comunitari. "Pregare". Non c'è chiesto niente altro. Lo sa anche la mia amica atea. "E' la chiesa che ha abbondato gli uomini o sono gli uomini che hanno abbandonato la chiesa?" si chiedeva l'immenso poeta TS Eliot. Entrambi, probabilmente. Quella stessa domenica, uscendo dal lavoro, mi fermo nella straordinariamente bella chiesa di Sant'Alessandro per beccare una messa. E' una chiesa di una bellezza come ce ne sono poche in Italia e nel mondo. Però è quasi deserta, una dozzina di anziani e un paio di coppie giovani. Anche i due sacerdoti che celebrano la messa sono vecchi, vecchissimi. Penso, quando entrerò qua dentro alla stessa ora per prendere una messa fra 10 anni non ci sarà più nessuno, neanche un prete. La messa è finita, non vado in pace. Però mi fermo come faccio ogni mattina davanti al Crocefisso che sta in un angolo di questa chiesa, Mi sento un po' don Camillo ormai. E dico una preghiera, per la mia amica che non vuole più pregare. (Il Crocefisso nella chiesa di sant'Alessandro a Milano) Con una preghiera e un augurio per Sara Tanturli che oggi fa la santa cresima

4 commenti:

Anonimo on 28 novembre 2010 alle ore 18:00

ciao Sara! ti ho pensato da riva del garda e volevo ringraziarti perchè la tua cresima mi ha tenuto più sveglia, più attenta a quello che stava succedendo intorno a me.
un abbraccio a tutti!
anna

Anonimo on 29 novembre 2010 alle ore 09:23

Si può pregare anche per questo, perché, quando entreremo tra dieci anni in quella chiesa, la si possa ritriovare nient'affatto vuota, ma riempita da quelli che il Signore ci ha fatto incontrare, rendendo anche la nostra povera amicizia (amici, cioé testimoni) strumento del Suo disegno.

Io prego perché amare quello che mi sta di fronte, nell'attimo presente, sia l'unico scopo del mio agire.
Ogni giorno.
E chiedendo a Maria la forza e la tenacia che non ho, nel continuare a seguire l'Ideale che ho incontrato un giorno.
ciao

Fausto

Anonimo on 29 novembre 2010 alle ore 23:23

scusate, mi permetto di copiare qua un pezzo dell'Angelus di domenica scorsa perchè mi piace tantissimo. Molto legato a quello che ha scritto vites.
"L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono… Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra "statura" morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo."

ciao!
anna

Comment by Paolo Vites on 30 novembre 2010 alle ore 16:29

grazie

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