Mia figlia, la più piccola, ha 6 anni. Ogni sera, in quei 15 minuti di tempo libero che ho a disposizione quando sono tornato a casa (tardi) dal lavoro e prima di andare a letto (presto, perché mi sveglio sei giorni su sette alle 6 e 30 del mattino per accompagnare l’altra figlia, la grande, a scuola) o prima di uscire per qualche incontro o andare a qualche concerto – è il mio lavoro – e cerco di vedere un qualche telegiornale, immancabilmente si piazza sempre lì. Nella traiettoria esatta tra il mio sguardo e il televisore. Mica lo guarda, lei, il telegiornale. Si mette a fare qualcosa, ballare, giocare, parlare da sola. Ovviamente mi manda in bestia. Spostati, dico una volta con tono pacato. Spostati, ripeto alzando il tono. E spostati! dico urlando. Allora si sposta, stupita dell’insistenza. Perché per lei è naturale mettersi tra la traiettoria del mio sguardo e l’oggetto che sto guardando. Perché il bambino piccolo deve sentirsi intercettato continuamente dallo sguardo del padre o della madre. Non è un problema di attirare l’attenzione, come certi psicologi alla sbaraglio ci hanno sempre detto. È l’esigenza, connaturale al bambino, di essere nell’orbita affettiva che lo definisce. Come quando si mette a giocare in camera sua. Mi chiede di stare lì con lei anche se non devo giocare con lei. È di una presenza fisica che il bambino ha bisogno. Perché il bambino si sente definito da un altro. Crescendo, perdiamo questa dipendenza dall’altro che è nel nostro dna. Distratti dalle mille cose del mondo e dal nostro senso di superiorità che invece è cosa falsa, che ci appiccichiamo per non sentirci più dipendenti dall’altro. Ma anche diventati adulti, prima o poi la realtà ci fa sempre sbattere in qualcosa che se siamo onesti ci riporta a questa dipendenza. Se non siamo onesti, diventiamo cinici e incattiviti e odieremo la vita. Se siamo onesti, capiremo che anche a 46 come li ho io è un altro che ci definisce. Da soli facciamo solo casino, facciamo del male agli altri e a noi stessi. Allora cercheremo di piazzarci davanti a un televisore chiedendo che lo sguardo di un altro ci intercetti. Solo che Lui questa volta non ci chiederà di spostarci, ma ci prenderà nel Suo abbraccio. Dipende solo da noi. Oggi è il 19 marzo, festa di San Giuseppe e del papà. Buona festa a tutti i papà che leggono questo blog. Attenzione questa sera quando guarderete il telegiornale.
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1 commenti:
e buona festa a te, amico mio!
Ma quella con la stratocaster é la tua grande? azz.. sei proprio l'unico che non sa suonare in famiglia...
thanks for the great post
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