GENOCIDIO DOWN - I Santi del mese di Ottobre

08:38 / Pubblicato da Alessandro /

Capisco sia difficile da comprendere per una "civiltà" miope, edonista e fondata sulla merda espansa come la nostra, ma basta guardare questi "delfini in terraferma" per farsi venire qualche dubbio. Forse non tutti fanno mente locale: la "devianza" SD (Sindrome di Down) è un esempio, nel senso che è stata tra le prime per le quali la Scienza Medica (maiuscole d'obbligo) offre diagnosi prenatali precise, standardizzate e diffuse (l'amniocentesi). As a result, di bimbi Down ne vengono al mondo sempre meno, i nostri occhi e le nostre sensibili menti sempre meno rischiano di venir ferite dalle inenarrabili sofferenze di questi "diversi". Ebbene si, chiamiamo le cose con il loro nome: i Down sono da decenni oggetto di vivisezione. A questa categoria (quasi una "razza"), per la quasi totalità, viene impedito in modo mirato di soffrire. Cioè di vivere. Lungi da me condannare moralmente le mamme che prendono la decisione di evitare al loro bimbo nascituro "una vita di emarginazione e sofferenze"; comprendo anche la esplicitazione dal politically correct, cioe' il piu' prosaicamente umano desiderio di evitarsi una vita dura di assistenza, compatimenti e emarginazione. Del resto il coraggio come diceva Manzoni chi non ce l'ha non puo' darselo (ma può chiederlo): bisogna esserci in mezzo per provare, tutti noi fragili tra le pressioni insostenibili del "dover essere" di 'sta società ipocrita, egoista e liberal solo fin che c'è l' interno coscia da mostrare. Per questo dico grazie infinite alle tante mamme coraggiose fuori dagli schemi dell'ovvio, che per loro fortuna trovano compenso non nella mia gratitudine ma nell'immensa gioia che l'accettazione di quegli "scampati al genocidio" porta con sè. Un dono "speciale". Si. Così, 'sto post un po' buttato lì, ha il solo scopo di invitare il passante a pensarci su un attimo; poi riprendiamo pure tutti a spinnin' the wheel , a girare all'infinito ma sempre fermi sulle nostre ruote da criceti. (Thanks Jesus for all that was and is Simone) Ma è meglio ascoltare chi è più felice di me. Sono sempre più consapevole che Gesù sceglie il niente per costruire il suo Regno e io mi sento veramente niente. Questa testimonianza che segue, del nostro amico P. Aldo, mi fà capire ancora di più dove sta la felicità. Bimbi della Parrocchia di San Rafael - Don Aldo Trento

Carissimi amici,

Questa volta vi mando la foto dei “santi” del mese di Ottobre, essendo questo mese dedicato dalla chiesa alla preghiera e all´aiuto ai missionari.

Che cosa significa essere missionari? Respondo con la mia esperienza. Io non sono stato mandato in missione per fare opere sociali, né per aiutare lo sviluppo socio-economico di questi popoli al limite della sopravivenza. Quando mi hanno mandato ero un uomo psicologicamente distrutto e ne avevo abbastanza per riuscire con la grazia di Dio a mettere insieme me stesso, cosa che è durata 15 anni e che ancora oggi sto cercando di fare.

Sono qui solo per annunciare il grande e unico amore della mia vita: Gesù Cristo, perché io e la migliaia di persone incontrate hanno bisogno solo di questo. Avevo perso il senso della vita e in missione l´ho ritrovato: la passione per la gloria umana di Cristo. Le persone che incontro mi domandano sempre e solo questo: “Padre perché soffro, padre ho cercato di togliermi la vita, padre perché il cancro, l´AIDS etc?”. Guardo a Gesú e alla Madonna e li invito, assieme con me, a fissare lo sguardo su di loro, e da lì comincia la vita nuova. Nella foto che vi mando è racchiusa una storia di disperazione e santitá.

Questa foto é stata fatti ieri, domenica 30 settembre, quando ho celebrato il battesimo dei tre bambini di Alice e la cresima di Orlando.

Alice é una ragazza di 21 anni che mi é stata donata quasi un anno fa. Ricordo quella sera in cui è arrivata. Era accovaciata nel fondo di una macchina orribile, come un cagnolino: sporca, irriconoscibile, in fin di vita. L´AIDS la stava distruggendo. La presi fra le braccia, non pesava niente, solo un terribile odore. Sembrava moribonda. Alcuni giorni nella clinica e giá incominciava a rifiorire e quello che sembrava un essere umano irriconoscibile si è rivelata una bella ragazza.

Da un anno vive con me, l´AIDS é per il momento sotto controllo. Ha ritrovato il gusto della vita. Adesso vive in una piccola stanza di fronte a casa mia. Una santa vecchietta la cura, la aiuta. Lavora come aiuto nella farmacia della clinica, stira, lava la roba dei suoi amici di AIDS, riceve un piccolo stipendio. Cura con passsione la sua stanzetta.

La sua vita,me l´ha raccontato un pó alla volta, é stata un inferno. Abbandonata dai genitori, a 15 anni ha avuto la prima figlia da uno sconosciuto. Poi, bisognosa di protezione e nella sua ingenuitá si é messa con un altro ragazzo, ammalato di AIDS, ma lei non ne sapeva niente e neppure sapeva cos´era l´AIDS, e ha avuto due bambini, Mattia e Jennifer, la piú piccola, nata con la stessa malattia della mamma e del papá. Il suo compagno era violento, la trattava come una bestia, oltre che averle distrutto la vita contagiandola. Lei, vittima e distrutta psicologicamente non era neppure capace di reagire, sopportava tutto.

Non aveva neanche 20 anni. Finalmente arriva alla Clinica della Divina Provvidenza, si sente amata, chiede il battesimo e la cresima. Mi sceglie come papá e da quel momento la sua vita va ritrovando ogni giorno di piú la bellezza della primavera. Apprende a curare il suo corpo, a farsi bella, a gustare la sua femminilitá. Insomma diventa una donna. Nel frattempo il suo compagno, cieco per l´AIDS, e gravemente ammalato viene ricoverato nella nostra clinica. Lei lo accoglie, gli sta vicina, gli perdona, cosciente che, come direbbe il “mondo”, lui le ha distrutto la giovinezza e la vita... ma la grazia di Dio é piú forte di qualsiasi odio e Alice la perdona e lo assiste fino alla morte.

E´molto aggressivo anche con me e solo Alice riesce a calmarlo. Muore dopo alcune settimane. Lei rimane con noi, adesso siamo noi la sua famiglia. Peró ha un cruccio: i suoi tre bimbi sono presi in custodia da diverse realtà e questo la fa soffrire molto. Riusciamo che almeno ogni fine settimana stiano con lei, nella speranza di trovarle una stanza in piú perché vivano assieme.

Stiamo lavorando in questa direzione. L´altro giorno mi chiama la psicologa, erano le 23, e mi dice preoccupata: “Alice non ha piú voglia di vivere”.

Corro da lei, la trovo nella sua stanza in un mare di lacrime. Mi siedo al suo fianco, le tengo la testa fra le mie braccia e mi racconta che sente terribilmente la assenza dei suoi bambini ed è preoccupata perché sta per arrivare il giorno del loro battesimo e non ha una “lira” per andare a prenderli e poi comprarli un vestitino.

“Alice, ma se io sono il tuo papá, perché non mi chiedi?” prendo i soldi, glieli do… torna a sorridere. Le do un bacino e dorme contenta. Cosí ieri 30 settembre alle 16, ho battezato i suoi, i miei gioielli.

E´stata una festa bellissima, come bellissima era Alice e i suoi tre bimbi. Gli ammalati di AIDS le facevano corona, erano felici come lei. Orlando, con l´AIDS, al suo fianco ha ricevuto la cresima.

Sergio, suo amico, di 19 anni, era in coma e morirá alle 5 di questa mattina lunedi. Figlio di un barbone e anche lui come suo padre, dopo due tentativi di suicidio nella clinica, sventati dall´amore, é morto come un santo. Domani lo porteró nel mio cimitero con i numerosi figli che mi sono morti fra le braccia in questi anni. E li aspetterá la Risurrezione.

Mentre Alice é contenta, é tornata a sorridere. A 24 anni ne ha tutto il diritto. Davvero in questa clinica il cui direttore Sanitario é l´Eucarestia, la vita non si spegne mai. Una lezione per me, ma anche per l´emisfero Nord che é spaventato dal dolore e dalla morte. Qui é un altro mondo, perché dove c´é l´Eucarestia la morte non esiste.

Mentre sto per terminare questa lettera mi avvisano che é morta una giovane mamma con due figli, Norma, di 34 anni, ammalata di AIDS, anche lei vittima del contagio del suo compagno giá morto. Era bella ed ora che l´ho vista nella cella mortuaria della clinica é ancora piú bella.

Sergio di 19 anni e lei di 34 anni, mi stanno aspettando per la Messa: sono uno a fianco dell´altro. E poi domani li porteró nel cimitero dove riposano i moltissimi figli morti di AIDS e altre malattie in questi tre anni.

Sergio e Norma sono partiti sereni da questo mondo e mentre stavo con loro ormai giá freddi, sentivo una pace e gioia grande: sono in paradiso.

Che importa quello che é stata la loro vita, adesso contemplano la Bellezza di Dio.

Essere missionari è accompagnare l´uomo giá da ora a percepire questa bellezza, come i bambini della nostra scuola che vedono i morti passsare davanti ai loro occhi e segueno giocando, dopo aver recitato “L´eterno riposo”.

Questo è il cristianesimo: la vita eterna, già ora.

Un abbraccio.

P. Aldo

Dalla casa di accoglienza S.Riccardo Pampuri

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