Cari amici, bisogna partire sempre dalla vita, dalla realtà e non dal fatto che siamo sposati, consacrati, scapoli o dal ruolo, perché è la vita che chiede l’eternità. Quante volte l’abbiamo cantato in “povera voce”, ma è come se tutto fosse scontato. Oggi è un giorno difficile per me a causa dell’insonnia, che oltre a farmi sentire stanco mi fa sudare in modo strano. Così con il clima a 40 gradi e per di più questa mia situazione vi lascio immaginare il mio stato d’animo. Ma da 20 anni sto imparando a ripetermi: “io sono Tu che mi fai”, “anche i capelli del mio capo sono contati”, “prima di formarti nel seno di tua madre ho pronunciato il tuo nome”, “sei come la pupilla dei miei occhi”. Ebbene, anche in barba a chi non sopporta la parola depressione e per questo come buon amico gliela auguro così capiranno cosa vuol dire diventare uomo e non rimanere dei pirla borghesi pieni di se stessi, dentro questa situazione, emotivamente negra, non è questo stato d’animo a definirmi, ma la certezza che Lui mi ama così come sono. Oggi sono facilmente irritabile, eppure nessuno se ne accorge, si accorgono che sono stanco, ma la pace, la gioia del cuore vince tutto. Mi muovo già da tempo solo perché Lui mi muova e il mio stato d’animo è come assorbito, santificato da questa certezza. Per cui oggi ho potuto accogliere (vedi foto) questa piccola bambina, Celeste è il suo nome, ormai alla fine per colpa di una leucemia, trascurata a motivo della povertà. La mamma ha 31 anni e 8 bambini. Da sempre non sorride. La sua vita è stata solo stenti, dolore, miseria, violenza. Oggi, stando io nelle condizioni di cui sopra, l’ho ascoltata. I miei occhi rossi non riuscivano a sostenere il suo sguardo pieno di dolore. “Padre, sono figlia della violenza come tutti i miei 8 bambini. Violentata, picchiata a sangue, sono dovuta scappare dalle grinfie di un uomo che mi ha distrutta. Ho dovuta abbandonare i miei bambini nelle mani di questa bestia. Adesso il dolore della mia bambina di 12 anni mi ha inchiodato qui nella sua clinica…la prego di aiutarmi. Non ho più lacrime da versare... mi sento come una statua...” La guardavo, vedendo nel suo volto una tristezza infinita come nella maggioranza delle donne di questo paese, ridotte ad animali, abbruttite dalla violenza. Eppure una tenerezza ed era già un’altra. Guardo la sua bimba, già senza capelli, dolori forti, non parla più, mi guarda fisso ma non sorride. Quanto dolore! Il mio cuore spesso ha paura che non resista ma poi la Provvidenza mi recupera subito. Alcune ore prima ho celebrato il funerale di un ,travestito, un figlio di Dio di 28 anni morto di AIDS. Erano presenti gli altri amici ammalati di AIDS, questi miei figli prediletti. Nella breve omelia ho detto: “figli miei, siamo qui per celebrare la misericordia di Dio. Guardatelo, questo ragazzo, ha vissuto come un animale ed è morto come un santo. Vi ricordate com’era la sua faccia quando è arrivato da noi e ora guardatelo bene: è la faccia di un uomo vero. E’davvero il trionfo della misericordia che non distingue gli esseri umani in normali, omosessuali, travestiti, ermafroditi, ma che guarda ad ognuno come figlio. Amici, capite, che bello: per Dio siamo figli, siamo creature sue”. Mi guardavano commossi, loro gli emarginati, loro i lebbrosi del secolo XXI, loro giudicati la perversione del vizio…loro che mi vogliono bene, che ogni mattina bacio e mi inginocchio davanti ad ognuno, non importa se deformati da fattezze femminili o maschili finte. Loro che chiedono di confessarsi, che mi chiedono se la propria compagna o compagno con la stessa malattia possono venire a visitarli. E così, come mi dice la suora, approfitto per annunciare anche a loro la misericordia di Dio.
Victor, che tutti conoscono, e sul quale è nata una reazione a catena a livello mondiale, dividendo quanti mi scrivono in due partiti: quello perché viva e l’altro perché lo lasciamo morire. Quanto mi duole questo secondo partito. Se lo vedessero gemere, soffrire, si renderebbero conto del perché Gesù è morto per me e anche per loro. Ma perché voler eliminare il dolore dal mondo, quando questo dal peccato di Adamo è condizione inevitabile? E’come che io volessi togliermi la depressione, togliermi le notti insonni, togliermi l’ansia. Ma non è possibile. Posso prendere, e lo faccio, delle pastiglie per aiutare la mia pazza emotività, ma non posso, non chiedo a Gesù di togliermi la fatica perché sarebbe ripetere a Gesù quanto quel giorno Pietro gli disse perché non accettasse il dolore…e Gesù gli rispose: “allontanati da me, Satana, perché ragioni secondo il mondo e non secondo la volontà del mio Padre”. Chiaro che Victor soffre, lo vedo 24 ore al giorno. Ma possibile che ci sia chi si permetta di dirmi: lascialo morire. Quando non sono io che lo faccio vivere, ma il Mistero che lo crea in ogni istante. Ma possibile che non capiamo che la vita, non importa le condizioni in cui si manifesta, è sempre l’affermazione del “io sono Tu che mi fai”. Victor ha perfino il piccolo torace incurvato per il dolore, per la fatica del respiro, per le convulsioni. Ha la testa appoggiata nel cuscino con tante lacerazioni per decubito, non si può muovere…ma capite che per ognuno di noi è Gesù, è Gesù. Victor non è riconducibile alla sua dolorosissima malattia, perché è Cristo. E allora se è Cristo, capite che è il Paradiso qui in terra. Io non posso stare senza contemplarlo, perché è il mio conforto, come in questi giorni in cui la fatica si fa sentire. Guardarlo, baciarlo, è sentire vibrare la dolce Presenza di Gesù che mi accarezza nei momenti difficili. Certamente senza prendere sul serio la vita, come ci ricorda Giussani nel Senso Religioso citando quel pezzo di un dialogo fra Richard e la nonna Henry, è impossibile riconoscere in questi fatti la grande Presenza, il Mistero che da senso e bellezza a tutto… Quando lo si riconosce come mi ha detto l’altro giorno Cristina, la giovane mamma di una delle casette di Betlemme, con 14 bambini da 0 a 11 anni: “padre, da quando Dio mi ha tolto le mie uniche due figlie del mio matrimonio. Nageli di 6 anni e Natali di 9, e mi ha chiamato ad essere madre di tutti questi bimbi ho capito che per me essere madre significa non possedere mai i miei figli. Ogni attimo li guardo, li amo immensamente, ma so che non saranno mai miei e che prima o poi se ne andranno. Ma questa è la mia vocazione. Mi tortura il cuore, però se Gesù vuole questo è anche vero che mi ha regalato un vero cuore di mamma: farli crescere e poi lasciarli andare seguendo il disegno buono di Dio... ed io rimanere ogni volta a ricominciare e pregare”. Questa è la santità. Grazie a quanto mi siete amici. P.Aldo
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