Si Può Vivere così?

08:59 / Pubblicato da Alessandro /

Il giorno per me incomincia alle 5 del mattino e termina alle 23. Sono un po' stanco, lo ammetto, ma Gesù è con me tutto il giorno, tutti giorni, così che tutto è più semplice e bello. Nelle ultime ventiquattro ore ho accompagnato a morire sei malati. Debbo dire che il Cielo gode e l'Inferno freme dalla rabbia, perché la nostra clinica rilascia solo passaporti per il Cielo, e in quattro anni e alcuni mesi ne abbiamo già mandati quasi 600 in Paradiso. Dico così senza spiegare bene come vanno le cose, scusate. Per andar con ordine: sono padre Aldo, e da 19 anni vivo ad Asunción, in Paraguay. Ho innumerevoli mansioni, qui, su cui non voglio dilungarmi, ma tra questa una delle più gratificanti ( oltre che impegnative) è il lavoro nella piccola clinica, dove insieme a medici, infermieri, volontari aiutiamo chi ha bisogno di cure. E qui sono in tanti. Dalla nostra clinica, però, nessuno esce senza aver conosciuto il nome del Signore. Ed eccoci al mio modo dire, cioè che abbiam mandato in Cielo 600 malati.

Come vedete, è il lavoro più bello che ci sia. Perché a cosa servirebbe la vita se non ci fosse il Cielo? E che varrebbe vincere le 99 battaglie della vita se perdiamo l'ultima? Ebbene, io vivo, noi tutti nella clinica di Asunción viviamo perché quanti arrivano qui vincano l'ultima battaglia, perché conoscano il Signore e vadano in Cielo. E non vi dico la rabbia di quello ' del piano di sotto', come lo chiama una delle mie collaboratrici, qui, Lorenza. Ho da qualche minuto firmato le pagelle dei ' miei' numerosi bambini. Quando sono arrivato alla casa numero 2 erano già tutti a letto. Solo la mamma Cristina, un figlio naturale, Richard, e un bebé di alcuni mesi, Arnaldo, stavano guardando la partita Paraguay- Venezuela ( Lugo contro Chavez), vinta per 2 a 0 dal Paraguay. Povero Chavez... quante volte il vescovo presidente l'ha vinta, almeno sul piano sportivo. Ma di nuovo poca chiarezza: la casa numero 2 è una delle case- famiglia che sono nate ad Asunción negli ultimi anni e che accolgono i bambini orfani o provenienti da situazioni familiari drammatiche, per dar loro una via d'uscita dalla violenza, dalla droga, dalla malattia. Per dar loro un futuro. Qui ci sono famiglie che si prestano a ospitarli, e che li accolgono come figli loro. È il caso di Cristina, alla casa numero 2, dove stasera sono passato per controllare le ' mie' pagelle. Mi si chiede di firmare lì dove c'è scritto: padre o madre. E io firmo: padre Aldo. Una bella soddisfazione, molto più grande dei numeri che ci sono dentro: solo qualche sufficienza e per il resto tutto da costruire. Però nessuno è più a 0, ma tutti a 1 ( il sistema dei voti qui funziona così, approssimativamente). Arrivare a 1 è stata l'impresa più difficile, adesso c'è tutta la vita per crescere e arrivare al massimo. C'è tutto da costruire, questo conta. Dopo la firma li ho guardati mentre dormivano: sono proprio belli, questi miei figli! Dietro i loro volti angelici quanti segni di violenza, di sopruso... Eppure adesso sono contenti nella loro casetta, bella, grande, nuova. Si sentono amati e io, personalmente, li adoro. Guai a chi me li tocca! Sono tutti qui per ordine giudiziario e, quindi, anche protetti legalmente contro ogni forma di violenza. Le cose vanno così, in Paraguay. Io vedo in ognuno di loro il bambino Gesù. E , pensate, mi chiamano ' papi'. Quando li sento provo un'emozione che non vi dico... anche se, data l'età, mi sento più un nonno che un papà. Però papà si è sempre quando la verginità è la forma della vita, mi ripeto.

Guardandoli mi è più semplice capire perché don Giussani, l' 8 settembre del 1989, mi ha spedito qui. Lui sì che ci vedeva bene... anche con gli ' schizzati' come me, quelli che non sapevano stare al loro posto, che non erano mai contenti, che andavano ' salvati', indirizzati. Invece di mandarmi dallo psicologo, o affiancarmene uno – come giustamente il professor Andreoli ritiene essere importante oggi, coi preti ' moderni' e i giovani seminaristi – lui mi mandò in Paraguay. E ce ne volle di fegato per una simile operazione. Lui ne aveva, come tutte le persone che portano nel cuore un frammento di santità: mi guardò intensamente, per qualche minuto, senza fissare appuntamenti o colloqui, e capì. Dopo pochi minuti mi aveva già sconvolto la vita. Chi l'avrebbe detto, 19 anni fa, che quel prete un po' depresso il 10 settembre del 2008 sarebbe stato nominato cittadino ' illustre' di Asunción, con il sindaco che gli consegna le chiavi ella città? È quello che è successo oggi. Così adesso – ho pensato io appena mi danno la notizia – potrò decidere chi lasciar entrare e chi no. Mi vien da ridere ( anche perché avrei una lunga lista!), ma poi mi viene in mente che le chiavi di questa terra non contano mai molto, che sono quelle di San Pietro che dovrebbero preoccuparci tutti, e che io sono qui per far sì che attraverso quella porta, la porta del Cielo, passino sempre più persone: i miei figli, i miei malati, i figli che verranno, le persone che si ammaleranno. Che faccio di questo ' premio', dunque? Lo dedico alla divina Provvidenza, che mi ha ' fregato', perché in fondo io in tutta questa vicenda, in tutto questo entrare in Paradiso, io non c'entro proprio nulla. O meglio, ho solo una grande responsabilità: quella di essere strumento, di farmi strumento ogni giorno, prendendo sul serio la vita e il mio impegno. E obbedendo alla realtà. È difficile spiegare questa obbedienza. Almeno quanto impararla. Molti anni fa una donna del gruppo degli adulti che seguiamo mi ha chiesto: ma tu a chi obbedisci? Non le ho mai risposto, semplicemente ho detto: per il momento faccio già una grande fatica a obbedire alla realtà... All'epoca l'età e lo spirito un po' ribelle, devo confessarlo, mi rendevano quasi impossibile obbedire ai miei superiori. Volevo fare tutto di testa mia. Cercavo, invece, e con tutte le mie forze, di obbedire alla realtà: a quello che succedeva, alle situazioni che di volta in volta mi si ponevano davanti. Oggi, con un po' più di anni sulle spalle, ho imparato a obbedire ai miei superiori, ma mi piace pensare che tutte questo ' bel casino' che la Provvidenza ha messo in piedi ad Asunción – con i bambini che trovano una casa e una mamma, con i giovani che si appassionano alla scuola e prendono bei voti, con i malati che muoiono recitando l'Ave Maria e l'amministrazione locale che si accorge che queste sono cose ' buone' – non esisterebbe se non avessi cercato in tutti i modi di obbedire anche alla realtà. Certo, molti dormirebbero meglio. Anche io. E non saremmo così stanchi, qui, con tutto il da fare che c'è. Ma i miei figli, i vecchietti assistiti, che gioia vederli sorridere! E io, questo rompiballe che ogni giorno mette a soqquadro il cielo e la terra con il suo mendicare, che fine avrei fatto? Non lo so davvero. Così, dicevo, pian pianino ho imparato a obbedire a tutto e tutti. E oggi, il 10 settembre, giorno in cui mi son messo a scrivere di questa ' storia', dopo aver ricevuto l'immeritato premio del sindaco di Asunción, mi ritrovo a commuovermi. C'era, alla cerimonia, anche il Nunzio apostolico del Paraguay, con le lacrime agli occhi mentre ricordavo e ringraziavo don Giussani, don Massimo e tutti gli amici attraverso cui il Signore ha cambiato la mia vita. Se oggi sono qui, e faccio del bene, è per queste persone e perché il Signore ha deciso di cambiare la mia vita. padre Aldo Trento Asunción ( Paraguay)

4 commenti:

Comment by Paolo Vites on 4 ottobre 2008 alle ore 19:16

"obbedire alla realtà": che altro?

grazie

Comment by Fausto Leali on 4 ottobre 2008 alle ore 22:54

Queste lettere in cui padre Aldo Trento continua a raccontarci di lui, in un "rapporto" che continua con ciascuno, anche dopo la splendida testimonianza del Meeting, esercitano su di me un'attrazione straordinaria.

Leggevo, in una di queste, il passaggio dove lui racconta di Victor e guardando i suoi occhi, quegli "occhi scoppiati, letteralmente esplosi", dice sono come "la pupilla dei Suoi occhi", riferendosi a Gesù.
Non riesco a non pensare allo sguardo che Chiara Lubich ha fissato un giorno su Gesù Abbandonato, cioé quel Gesù che in croce ha vissuto il momento più doloroso in assoluto, quando ha gridato "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
Con la sua vita Chiara ci ha insegnato che quel momento in cui Gesù ha sentito di aver perso il Padre, la cosa più preziosa in assoluto, é stato il culmine della Sua passione ed in quel preciso momento Lui ha assunto su di sé tutti i dolori dell'umanità.
Chiara lo scelse come Sposo e quella fu la "chiave" della sua capacità d'amare.
Chiunque voglia seguirla sa di dover fare questa scelta come "la scelta" di Dio nella sua vita.

Ripensando a padre Aldo ed a quella pupilla di Victor, ripenso a questa frase di Chiara: "Gesù é Gesù Abbandonato. Perché Gesù é il Salvatore, il Redentore, e redime quando versa sull'Umanità il Divino, attraverso la Ferita dell'Abbandono, che é la pupilla dell'Occhio di Dio sul mondo: un Vuoto Infinito attraverso il quale Dio guarda noi: la finestra di Dio spalancata sul mondo e la finestra dell'umanità attraverso la quale si vede Dio".

Grazie per aver pubblicato queste lettere, per la vostra testimonianza con questo blog, per la vostra amicizia.

Anonimo on 5 ottobre 2008 alle ore 20:11

Grazie

Anonimo on 5 ottobre 2008 alle ore 21:09

E' incredibile che Padre Aldo sia uno qualsiasi di noi.
Non è un marziano, è la testimonianza vivente che è possibile per ognuno di noi vivere così. E' possibile.
Come Padre Aldo ha detto: "Non dite:è difficile, perchè tutto dipende dalle domande che uno ha. Domande piccole, risposte piccole, uomini piccoli. Quando uno sta male cerca il meglio per guarire."
Grazie Fausto per l'attenzione che hai per gli Amici di Simone.
Alessandro

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