Prima che venga notte

12:25 / Pubblicato da Paolo Vites /

http://www.tempi.it/opinioni/003317-prim-che-venga-notte Lo schiaffo della morte improvvisa di un amico e tutte le cose che non ci sarebbero state senza di lui di Marina Corradi «L’eterno riposo dona a lui, o Signore. Splenda a lui la luce perpetua». Nella chiesa alla periferia di Milano in una sera di ottobre, per un amico morto all’improvviso s’è radunata una gran folla. Muti, prima che inizi il rosario, tramortiti da quel suo essersene andato in un giorno. Immobili, che puoi guardarne come fossero una fotografia le facce – molti non li vedevi da anni, e li ritrovi invecchiati, oppure erano bambini e li scopri ormai grandi, con un’ombra di barba sulle guance. Un pezzo non breve della tua vita ti sta davanti, stasera, impietrita dallo schiaffo di una morte arrivata come un ladro. Di quei quattro ragazzi seduti al primo banco accanto alla moglie, una te la ricordi al tuo matrimonio, neonata, in braccio al padre. E tutto in quel giorno di giugno era promessa, tu vestita di bianco, e quegli amici con la loro bambina. L’unica femmina. Lui la chiamava, da piccola, «la mia principessa». («L’eterno riposo dona a lui, o Signore», ripete l’assemblea.) «È stato A. – ti racconta qualcuno – a portarmi per la prima volta a San Siro. Inter-Pisa, c’era. Era pazzo dell’Inter, ancora adesso andava anche in trasferta». («L’eterno riposo dona a lui, o Signore».) «Da ragazzo – ricorda un altro – lo vedevi arrivare in università solo all’ora di pranzo. Era sempre affamatissimo. Un giorno al ristorante ripulì così bene col pane il piatto delle lasagne che il cameriere, credendo di non avergli portato il primo, glielo riportò». («L’eterno riposo dona a lui, o Signore».) E tu, a casa di quest’amico, hai conosciuto l’uomo che avresti sposato. Che era un timido, e ancora sorridi nel ricordare la prima uscita, una sera, in tre: tu, l’aspirante fidanzato e il suo amico A. a fargli coraggio. Tutto era nuovo, tutto era promessa quella sera. Stanotte non fa freddo, ma senti già il fiato umido dell’autunno addosso. («L’eterno riposo dona a lui, o Signore».) Abbracci con lo sguardo i tuoi figli, accanto a te. Non ci sarebbero, pensi, senza quell’amico che costringeva l’altro a telefonarti: «Chiamala, deciditi, cretino!». Allora una tenerezza e gratitudine smuove la massa cupa di tristezza di un rosario in morte di un amico. Qualcosa che intravvedi anche sulle facce degli altri, gli ex compagni di università, i colleghi. Nel dolore, il non poter dimenticare ciò che si è ricevuto. E dunque non rabbia: ma il silenzio attonito di chi, non comprendendo, pure ostinatamente si fida. È buia e giallastra alla luce dei fari questa notte a Lambrate – e quanto luminoso e lieto invece quel mattino di giugno delle tue nozze. Ma ci ritroveremo ancora, fuori da queste tenebre, nel sole, prometti perentoria. La morte brucia come uno schiaffo sulle guance; eppure tu così stranamente certa, in questa notte d’autunno, che ciò che è promesso è vero.

1 commenti:

Comment by Fausto Leali on 18 ottobre 2008 alle ore 16:15

"ci ritroverem oancora, fuori da queste tenebre, nel sole".
Leggo questo post ancora dentro ad un turno di guardia in ospedale, in cui ho visto, stamani, morire d'infarto all'improvviso un uomo di appena quarant'anni che lascia moglie e bimbi piccoli.
Quello di uno stabat é l'unico sguardo che sento di poter avere.
L'unico sguardo davanti a quello della moglie inconsolabile, di fronte ad impotenza di fronte ad un Destino che non smetti di credere che sia buono.
La fede non vacilla, ma ci vuole anche un post così, oggi, per andare avanti.
Grazie.

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