Pubblichiamo questa lettera, scritta alcune settimane fa, certi che abbia molto a che fare con la vicenda di Eluana. Sono righe inviate da una nostra amica ad una ragazza che, scoprendo in gravidanza di aspettare un bimbo “imperfetto”, ha deciso di abortire. Cara Maria (chiameremo così la nostra amica n.d.r.), innanzitutto ti chiedo di perdonare questa intrusione improvvisa nella tua vita in un momento che so essere per te molto difficile. Sono Francesca e sono la mamma di Sara, Simone e Benedetta; come credo Simona ti abbia già raccontato mio figlio Simone tre anni fa è andato in Paradiso, all'età di sei anni appena. Simone era affetto da Sindrome di Down, ma direi che questo era l'ultimo dei suoi problemi perchè la vera lotta della sua breve vita è stata contro una grave malformazione dell'esofago che lo ha sempre costretto a nutrirsi attraverso un sondino e lo ha costretto a subire molti interventi chirurgici e lunghi ricoveri, tanto che non ha mai imparato nè a parlare nè a camminare. Il motivo per cui tento di scriverti queste righe è che vorrei provare a raccontarti che quando ho saputo che mio figlio aveva queste problematiche ero alla 23 settimana di gravidanza, avevo già una bimba di soli due anni e lo smarrimento e la confusione erano davvero immensi, ma nessuno di quei tremendi pensieri riusciva a contraddire una verità che sentivo nel profondo del mio cuore: lui era il mio bambino. Quando la dottoressa del Gaslini terminò di comunicarmi la diagnosi mi fece una domanda che mi gela le ossa ancora adesso che sono passati più di nove anni: "cosa vuole fare?". Io in quell'istante, pur facendomela sotto, ho capito che non c'era dolore, difetto, diversità, limite, imperfezione, che avrebbe mai potuto portarmi a rispondere qualcos'altro, e le ho risposto: "niente, aspetto che nasca mio figlio". Lei era stupita della mia risposta e si è complimentata per il mio coraggio, come poi altre volte mi è capitato, ma io ti giuro che ancor oggi non riesco a capire come possa volerci del coraggio ad amare tuo figlio, a maggior ragione se è malato! Continuavo a pensare a Sara, la mia primogenita, ma anche a tutti gli altri bambini che conoscevo, belli, sani e intelligenti, e mi chiedevo: ma se si ammalassero gravemente per qualche ragione e perdessero in tutto o in parte quelle qualità che fanno di loro dei bambini "ben riusciti"??? Cosa faremmo? La risposta va da sè: li ameremmo, e se è possibile ancora di più. Saremmo al loro fianco in ogni istante difficile, in ogni cosa nella quale non riescono, cercheremmo di aiutarli a crescere, faremmo tutto quello che possiamo perchè siano felici. In parole povere faremmo semplicemente le mamme e i papà. Certo, soffrendo e lottando forse un po' di più. E allora perchè il solo fatto che lui non fosse ancora venuto alla luce doveva mettere in dubbio che fosse mio figlio e io la sua mamma? Cos'era, una questione di dimensioni? Di guardarsi negli occhi? Di sentire la sua voce? Ma ad una donna in quell'attimo sconvolgente e miracoloso in cui scopre di essere incinta servono questi "dati" per sentirsi in attesa di un figlio? Io sono una poveretta con una media istruzione e una media intelligenza ma azzardo a rispondere con certezza di no. Cara Maria, vorrei poterti raccontare quanta gioia, quanta vera felicità, quanta commozione abbia portato Simone nella nostra famiglia e tra i nostri amici, quanto sia valsa la pena di dire di si, di accogliere la sua esistenza anche se lui non era perfetto e il suo corpo non era sano. Vorrei poterti raccontare che ricomincerei tutto da capo, se potessi, che i suoi sorrisi, il suo chiamarmi mamma (e chiamare mamma tutto il resto, compreso suo padre!), le sue manine che battevano quando era felice, i suoi capricci, i suoi splendidi occhi lieti e fiduciosi, la sua voglia di vivere, mi mancano immensamente e non rimpiango nulla se non il fatto che avrei voluto averlo con me per sempre. Ma mi rendo conto che forse mi sono dilungata un pò troppo, e ti chiedo ancora scusa. Cara Maria, c'è un'evidenza contro la quale spesso noi poveri uomini cerchiamo invano di combattere, non so bene perchè, ed è che la vita è assolutamente, inevitabilmente un dono. L'espressione "aspettare un figlio" è di una struggente verità perchè nella parola "attesa" c'è tutta la nostra impotenza, il nostro bisogno di affidarci, la nostra impossibilità di creare qualcosa da soli. Noi possiamo solo attendere. Una mamma attende che arrivi il suo bambino, proprio quello e non un altro, e lui attende nel silenzio e nel calduccio della pancia di essere abbracciato e amato. So che queste parole sono dure, nella loro banalità, e immagino che tu stia soffrendo, insieme a tuo marito, mentre ti chiedi come usare la tua libertà; io posso solo suggerirti di usarla per dire di si a questo dono, anche se adesso non ti sembra tale. Sono certa che se dirai di si nella tua vita si riverserà un amore Infinito, che ti ripagherà di ogni fatica, e ne sono certa perchè a me è successo esattamente questo. Ti abbraccio forte, Francesca.
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